Giovanna Gentilini - In questi versi vi è il fermento di un sentimento sincero che fa crescere il senso del tempo, della famiglia, dell’amicizia
Benassi Luca Domenica, 23/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014
Nella breve prosa che apre il volume, Gentilini ci introduce alla metafora portante del suo “Mentre rammendi ascolta il lievito”, pubblicato dalle edizioni Rossopietra di Cestelfranco Emilia (Modena), nel 2013: l’ago, il filo, l’attività del rammendare che, tramandata per via matrilineare, non è limitata al solo riparare vestiti e tovaglie, ma si estende al mettere insieme, al cucire e connettere ritagli di vita, emozioni, esistenze, corpi, passioni, affetti. Questo libro si offre come un grande affresco, anche nella studiata articolazione in sezioni, nel quale la poetessa, che è pittrice e autrice di raffinati acquerelli, accosta i frammenti - quasi i tasselli di un mosaico - di una realtà domestica e quotidiana spesso squassata dalla dimensione erotica e passionale: «così/ di notte/ le tue ascelle/ rifugiano il mio viso/ le mie narici/ l’umidità della mia lingua/ che cerca riparo/ nella tua bocca.» Nei versi di Gentilini vi è, infatti, il lievito di un sentimento sincero e naturale, che fa crescere in questa poesia il senso del tempo, della famiglia, dell’amicizia, del passare delle stagioni, ma anche le braci di una passione che mai cede il passo all’abitudine e alla stanchezza. Scrive Alberto Bertoni in proposito: «la metafora dell’ago e del filo - derivata dal magistero sempre più attuale di Emily Dickinson - e quella molto più casereccia, ma non meno efficace, del lievito rappresentano appieno l’idea di poesia […], il loro compenetrarsi nelle tappe decisive dell’esistenza, ora filiale ora amorosa, ora radicata nella “casalinghitudine” ora invece proiettata con coraggio nella realtà esterna, dell’io narrante costituisce la novità stilistica non meno che tematica di una poesia che sa come rompere il bozzolo della registrazione di un mero diario di sentimenti, per assurgere a un’ambizione e a un intento di specie metafisica.» In effetti questi versi sono in grado di uscire dal bozzetto familiare ed intimo, per farsi assoluti e subito “nostri”, soprattutto quando si distaccano dalle mura domestiche per descriverci le strade di Delhi o Berlino, o raccontarci i drammi delle guerre, dei migranti e dei rifugiati, assumendo il tono di un’accorata poesia civile. Si tratta di una scrittura che trae la sua forza da una semplicità del dettato che non è mai banale, non spinge sul pedale del “poetico”, per ricercare invece una linearità che ricorda la già citata Dickinson o la cantabilità di Giorgio Caproni. In questa poesia, nella quale abilità pittoriche si mischiano a delicate armonie, chi legge vi troverà il segno di molti attraversamenti, di memorie vive, di esperienze che riverberano al di là del tempo, ben sapendo che alla fine «oltre la soglia/ mi aspetta/ il silenzio/ io - intanto/ qui/ faccio vuoto/ e lo covo».
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