Login Registrati
IL LAVORO SOCIALE, OVVERO: “L’ARTE DI ARRANGIARSI”

IL LAVORO SOCIALE, OVVERO: “L’ARTE DI ARRANGIARSI”

Operare a sostegno delle persone più deboli, fra tagli ai fondi e scarsità di risorse culturali: una due giorni di riflessione, organizzata dalla rivista “Animazione Sociale” del Gruppo Abele. Le parole di Don Ciotti

Venerdi, 03/06/2011 -
“E' ancora pensabile un futuro del lavoro sociale? Idee per non arrendersi a un tempo di scarsità". Questo il titolo dell’evento promosso dalla rivista del Gruppo Abele Animazione Sociale, tenutosi nei giorni 27 e 28 maggio presso il Cinema Massimo, nel cuore della città di Torino. Rivolto a operatori e operatrici, amministratori/trici pubblici e dirigenti dei servizi, il convegno invitava a riflettere sul futuro del lavoro sociale, a fronte dei tagli decisi con la manovra finanziaria 2011. E puntava a restituire «energie, speranza e voglia di rimettersi al lavoro - come spiega a Noidonne Roberto Camarlinghi, vice direttore di Animazione Sociale - a chi lavora quotidianamente nel sociale e vive e vede le conseguenze dei tagli direttamente sulle persone e sulle situazioni quotidiane».

Guidate dagli interventi di Francesco d'Angella, Luigi Ciotti, Chiara Saraceno, Nadia Urbinati Eugène Enrique, Leopoldo Grosso, Franca Olivetti Manoukian e Franco Floris, le 700 persone intervenute da tutta Italia si sono confrontate e scambiate idee ed esperienze su come non arrendersi a un tempo di scarsità di risorse (economiche, ma anche culturali).

«Dal 2008 a oggi - afferma don Luigi Ciotti, aprendo i lavori - i fondi per le politiche sociali hanno subito un calo di vicino all’80%». I dati riportati al convegno sono allarmanti: il fondo per l’autosufficienza è stato praticamente azzerato, le risorse per le politiche familiari sono diminuite del 70% e quelle per le politiche giovanili del 60%. «Si risparmia sui servizi alle persone - aggiunge il fondatore del Gruppo Abele - e si lasciano intatte le prestazioni monetarie, come le indennità di accompagnamento o le pensioni sociali, misure poco efficienti e a carattere principalmente assistenziale, ma facilmente sfruttabili a livello comunicativo per creare consenso politico». Una gestione del welfare, quella di questi ultimi anni, che risulta miope e inefficiente: «Manca la capacità - ha proseguito Ciotti- o meglio la volontà, di affrontare la complessità dei problemi in un'ottica di lungo periodo, costruendo delle risposte solide, durevoli. E di costruirle insieme, creando reti di competenze e di risorse». "Fare rete" è infatti una delle strategie messe in atto dai soggetti che lavorano in ambito sociale per ovviare alla mancanza di risorse economiche. Ma l’impegno profuso dagli operatori per aiutare e sostenere le persone che si rivolgono ai servizi, se non più sostenuto dal necessario supporto economico, rischia di tradursi in atto di beneficienza e carità. Un ritorno all’assistenzialismo che va inteso come lesivo dei diritti dei bambini, degli uomini e delle donne in situazione di disagio: «In questa deriva –sostiene Ciotti - si chiede spesso alla solidarietà di sostituirsi alla politica. Di occuparsi di ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie sociali. È così che, col tempo, molte associazioni si sono ritrovate ad essere "delegate alla solidarietà". Ma una solidarietà che accetta di operare nel vuoto dei diritti finisce per coprire o giustificare quel vuoto. Si limita a occuparsi dell'esclusione, senza rimuoverne le cause sociali e politiche». Il welfare italiano, che continua a delegare la cura e l’accudimento delle persone più fragili a famiglia e carità, viene definito «ingiusto e inadeguato rispetto al cambiamento sociale in atto» anche da Chiara Saraceno:« Il modello della carità è da respingere, come cittadini e cittadine dobbiamo pretendere giustizia, equità, uguaglianza». La sociologa cita poi l’ultimo rapporto Istat: «L'indagine Istat ha fatto emergere con forza un acuirsi della distanza tra ricchi e poveri e tra chi può contare su una rete di solidarietà informale, per lo più familiare, e chi non può farlo». Reddito monetario e rete di solidarietà parentale sono infatti le sole risorse spendibili dalle donne (italiane) per poter far fronte al difficile compito di conciliare lavoro produttivo e riproduttivo. In quanto principali responsabili delle attività di cura e accudimento, che il sistema di welfare italiano storicamente delega alle famiglie, le donne lavoratrici prive di tali risorse sono costrette ad uscire dal mercato del lavoro per potersi dedicare alla cura di figli piccoli, anziani fragili o non autosufficienti, familiari disabili. Secondo la sociologa, inoltre: «Non si può pensare di destinare ai bambini figli di immigrati le stesse risorse riservate ai bambini nati in Italia. Ci sono poi le disuguaglianze tra territori: il Sud Italia non solo ha perso più occupazione del Nord ed ha un welfare più debole, ma anche le reti di aiuto informali sono più deboli». Per garantire condizioni di pari opportunità «servono politiche di redistribuzione del reddito - ha concluso don Ciotti - che assegnino le risorse tenendo conto dei reali bisogni delle persone, così da ridurre le disuguaglianze».

I tagli al FNPS non devono far percepire il lavoro sociale come poco rilevante. Questo il messaggio che gli organizzatori intendevano veicolare ai 700 partecipanti, uomini e donne. Anzi, «il lavoro sociale - sottolinea il sociologo Eugène Enriquez - comporta un lavoro culturale profondo, perché si cambia nelle persone la percezione di sé e dell'ambiente intorno». Gli operatori sociali sono chiamati a «socializzare la responsabilità» – sostiene Leopoldo Grosso , vicepresidente del Gruppo Abele, che invita a ricercare, nel proprio lavoro: «la decostruzione dei pregiudizi, l'accettazione delle diversità, una partecipazione attiva, la lotta per i diritti civili e sociali». La questione della tutela dei diritti è centrale anche per Franca Olivetti Manoukian, che mette in guardia: «Non si possono pareggiare le disuguaglianze con erogazioni illimitate. Bisogna fare scelte. Chi è più a rischio di marginalità? E quindi di chi siamo più responsabili nella difesa dei diritti?». In tale prospettiva, secondo Olivetti Manoukian, occorre il coraggio di «trasgredire le competenze istituzionali per creare integrazione e accorgersi che ci sono aree di marginalità non seguite e in cui i diritti sono particolarmente violati». Anche in questo caso è opportuno curare la riflessione, «interrogarsi costantemente su se stessi e sulla propria relazione con gli altri» tenendo presente che «le reti sono importanti modalità di conoscenza per capire come si possa intervenire prima ancora di intervenire».

In questo senso la due giorni si è posta come spazio di riflessione e di connessione fra saperi esperienze e idee in ambito sociale: «C'è una domanda forte e precisa di sviluppare cultura, pensiero e risorse - dichiara Franco Floris, direttore di Animazione Sociale - che arriva da moltissimi operatori e che dimostra la disponibilità a intraprendere strade più strette del solo lamentarsi». Si tratta di un segno importante, quasi un riflesso delle parole con cui Eugène Enriquez ha invitato gli operatori sociali a «prendere parte alla vita» perché «siano persone e non si lascino andare ad abitudini, rassegnazioni, routine, ordini dei capi, se i capi non hanno ragione, e che si aprano e abbiano consistenza individuale per confrontarsi con altri e cercare percorsi verso l'interesse comune».



3 giugno 2011

 

Elena Manueddu

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®