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Il landgrabbing made in Italy

Il landgrabbing made in Italy

Senegal - Una nuova forma di colonialismo: la corsa alla terra che affama le popolazioni locali

Antonelli Barbara Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

 “Una mattina ti svegli e scopri che i terreni sui quali hai da sempre fatto pascolare il tuo bestiame, sono stati dati all’azienda x o all’azienda y”. È così che Elhadji Samba Sow, rappresentante di un collettivo di 37 villaggi senegalesi, racconta alla stampa italiana quello che accade nella riserva dello Ndiael. È a nord del Senegal infatti che si gioca la nuova partita della corsa alla terra, cioè il landgrabbing, una corsa in cui anche le aziende italiane stanno facendo la loro parte. Tra queste, c’è la Tampieri Financial Group, una grande holding familiare con sede a Ravenna che produce olio alimentare ed energia rinnovabile da biomasse. Attraverso la sua controllata, Senhuile SA, a partire dal 2011, sta investendo nel nord del Senegal per realizzare coltivazioni agroalimentari, tra cui semi di girasole.





Il progetto. La Senhuile SA, (controllata per il 51 per cento dall'italiana Tampieri Financial Group SpA e al 49 per cento dalla società senegalese a capitale misto Senéthanol) ha infatti affittato ben 20mila ettari della riserva di Ndiael: un’area declassificata dall’allora Presidente Abdoualaye Wade, che con un decreto ad hoc ha rimosso i vincoli ambientali su 26.550 ettari della riserva, dandone in concessione (con un altro decreto ad hoc) 20mila alla Senhuile-Senéthanol per 50 anni. L’area però è la residenza di oltre 9000 persone appartenenti a 37 villaggi che da anni avevano diritto d’accesso e uso di quella terra, per il pascolo e per la raccolta di prodotti naturali e spontanei e di legname, importanti fonti di sostentamento per le popolazioni locali. A causa dell’investimento della Senhuile-Senéthanol, gli allevatori si trovano privati dell’accesso ai pascoli, e come ha confermato un abitante del villaggio di Ndialanabé, “la conseguenza è che adesso il nostro bestiame lo si vende per pochi soldi a causa della terra occupata da questi uomini potenti con la complicità dello Stato.”



La voce delle comunità locali. Per far pressioni sul gruppo Tampieri, una delegazione senegalese composta da rappresentanti dei villaggi e da Ong ha visitato a inizio marzo diversi paesi europei, chiedendo la cancellazione immediata del progetto. Tra loro Mariam Sow dell’organizzazione ENDA-Pronat. “Non è vero che in Senegal ci sono terreni da distribuire. Il Governo senegalese dovrebbe consultare agricoltori e contadini sulla destinazione dei terreni. L’Africa ha passato periodi bui, dallo schiavismo alla colonizzazione, poi abbiamo avuto l’Indipendenza. Nel 2010 abbiamo fatto un bilancio ed è catastrofico. Invito il mio Presidente ad analizzare attentamente questa situazione. È vero che sta riuscendo a mobilitare risorse ma bisogna scegliere sistemi che mettano in sicurezza il mondo rurale, in particolare le comunità di donne. Il nostro Presidente ha l’obbligo di fare questo a meno di non subire una nuova colonizzazione”. L’appello coraggioso di Mariam è anche all’azienda Tampieri: “Invito la famiglia Tampieri a pensare che anche le famiglie di Ndiael hanno il diritto di sviluppare le loro piccole attività agricole.” 



#foto5dx#Gli impatti sui villaggi. I residenti dei 37 villaggi lamentano impatti molto pesanti sul loro stile di vita causati dal progetto, che impedisce l'accesso ai pascoli, alle fonti idriche e alle altre risorse necessarie per la loro sussistenza, di fatto costringendoli ad abbandonare le loro abitazioni. La voce in Italia dei residenti arriva attraverso le parole di Elhadji Samba Sow: “Oltre a privarci della terra, questo progetto ha grandi impatti ambientali, perché vengono tagliati piccoli arbusti e piante. Le comunità di Ndiael, vivono con la paura quotidiana di intimidazioni fisiche e psicologiche da parte di polizia e guardie private messe a controllare i terreni del progetto. Più lo spazio si riduce e più gli allevatori lasciano che gli animali invadano i terreni agricoli coltivati, aumentando il rischio di conflitti anche tra comunità degli stessi villaggi, tra agricoltori e allevatori”. 





Qualche dato di quello che sta avvenendo in Senegal, lo fornisce Fatou Ngom, di ActionAid: “ Dal 2000 al 2012, oltre 840mila ettari di terra sono stati tolti alle comunità senegalesi per investimenti da parte di soggetti e aziende private”. Le imprese italiane stanno facendo la loro parte, e dal 2008 nel paese hanno cercato di investire per ottenere il controllo su una superficie poco più piccola dell’intera Provincia di Milano (145mila ettari). “Il landgrabbing ha risvolti disastrosi anche sulle donne - spiega Fatou - infatti quando i terreni vengono spianati, è più difficile trovare legna da ardere, un compito di cui in genere si occupano le donne. Se il bestiame viene allontanato dai luoghi di residenza, gli effetti negativi sono immediati anche sulle donne: sono loro che vendono il latte di mucca e capra sul mercato locale, e meno ne possono vendere, meno guadagnano. Con impatti immediati sulla loro indipendenza economica e sull’accesso ai bisogni primari, per loro e per i figli”. Un nuovo rapporto appena pubblicato dallo statunitense Oakland Institute descrive le numerose criticità legate al progetto, a partire dalla mancanza di un vero processo di consultazione e del consenso da parte delle popolazioni del Ndiael e dalla totale opacità delle operazioni Senhuile, la cui scatola societaria è tra l’altro estremamente complessa. È importante che la società civile internazionale faccia sentire la propria voce; per ora la risposta è positiva: in oltre 25mila persone hanno firmato l’appello lanciato dalle diverse organizzazioni (CNCR, ActionAid, ENDA-Pronat, RE:Common, GRAIN, Peuple Solidaires e Oakland Institute).



Per firmare: www.actionaid.it/senegal

Le foto sono gentilmente concesse da Giada Connestari.

 

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