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Il jazz è femmina - di Elena Ribet e Silvia Vaccaro

Il jazz è femmina - di Elena Ribet e Silvia Vaccaro

Intervista a Susanna Stivali

Venerdi, 18/11/2011 - Cantante, compositrice, arrangiatrice, Susanna Stivali è anche l'ideatrice con Maria Luisa Celani della rassega Da donne a donna, di cui cura la direzione artistica.



Quando hai capito di amare la musica?

Prestissimo, a scuola. Perché ho avuto la fortuna di avere un insegnante delle elementari, patito del banjo ma di tutta la musica in generale, che ci faceva ascoltare di tutto, ci faceva andare in radio e mi faceva cantare i suoi pezzi come solista… Per la musica ho avuto un nonno lungimirante che mi ha regalato il pianoforte quando avevo sei anni. Ho studiato pianoforte fino all’adolescenza, poi dopo una breve parentesi ho iniziato a studiare canto.



Quando hai capito di amare il jazz?

Verso i 18 anni, un po’ per caso. Volevo cercare una scuola di canto e, sempre il nonno lungimirante, mi ha portato nella scuola annessa a uno dei templi del jazz romano di quegli anni, il Mississippi jazz club. Lì mi sono trovata subito immersa nel mondo dell’improvvisazione. Come prima cosa mi dicono di imparare in una settimana, a memoria, il tema Air Mail Special improvvisato da Ella Fitzgerald; ascolto il pezzo, pirotecnico… per me era una sfida fulminante, mi sono chiesta: ‘ma che cos’è?’. Avevo una curiosità enorme e da questa finestra su Ella mi sono appassionata a questo linguaggio, che è così giocoso, cosi aperto a diverse misture di suoni e influenze, è ricchissimo di stimoli per una che vuole cantare. Ella Fitzgerald è tecnica vocale eccelsa, per lei ho avuto un amore a prima vista. Prima, per intenderci, ascoltavo gli Spandau Ballet. Per me Ella era un’aliena, è stata una folgorazione! Quindi ho ricominciato a studiare tecnica classica e, parallelamente, improvvisazione jazz.



Pensi che ci siano delle discriminazioni per le donne, nel tuo campo?

Purtroppo sì, nel senso che ci sono dei cliché, luoghi comuni molto difficili da sradicare, soprattutto in Italia. Questo soprattutto se parliamo delle donne che suonano strumenti e che affrontano una carriera, ad esempio una batterista, una contrabbassista… ci sono moltissime giovani che iniziano a farsi strada come strumentiste, ma il jazz è una musica molto al maschile. Anche se le cose stanno pian piano cambiando. Certo all’estero è diverso, ho avuto la fortuna di studiare a Boston, al Berklee College of Music, dopo aver vinto una borsa di studio, non per fare l’esterofila ma lì puoi davvero esprimerti al meglio anche se sei donna. Il talento non ha sesso. Anche qui,certamente il talento viene riconosciuto anche alla donna, ma difficilmente se ne riconosce la competenza. In campo artistico e non solo devi sempre dimostrare qualcosa. Il problema è farsi riconoscere come autore, come leader di un gruppo, arrangiatore o strumentista. Una donna che sa scrivere musica o sa suonare uno strumento, ancora stupisce; mi è capitato di sentirmi dire, anche da persone con cui collaboravo da tempo: ‘ma dai, lo hai scritto tu?’



Cosa ti piacerebbe chiedere per l’Italia di domani/di oggi?

Secondo me gli italiani sono abituati ad avere molti stimoli, siamo sempre stati circondati da esempi eccelsi di arte e cultura, anche musicalmente. Siamo anche stati abituati alle contaminazioni culturali. Abbiamo tanta storia e possibilità di ascolto; non è tanto il pubblico il problema, ma chi propone, chi lavora nella produzione e nella divulgazione; negli ultimi anni nella cultura italiana e nello specifico nella musica e in un campo così di ricerca come quello del jazz, si pensa che semplificare sia più redditizio. Quindi si tende a rendere fruibile al massimo qualsiasi cosa e piano piano si è abbassata la proposta. Abbassandosi la proposta, si abbassa la richiesta e si smette di proporre cose interessanti, non si ha il coraggio di farlo.Tranne alcuni coraggiosi! Un divulgatore di musica ha una grandissima responsabilità e io credo che questo manchi in generale soprattutto nell'industria discografica. Oggi un De Andrè che si presentasse a un produttore, non verrebbe nemmeno ascoltato! Il jazz sotto alcuni aspetti è un’isola felice, perchè riesce a sottrarsi un poco di più alle logiche di mercato, ma se è felice di essere elitario non dimentichiamo che invece nasce come musica popolare, era musica per ballare, gioiosa e di grande comunicatività.

Purtroppo in Italia non c’è più quella consapevolezza collettiva che la musica è un bene. Ad esempio non si costruiscono spazi adatti che nascano appositamente per la musica, come invece accade ad esempio in Germania o in Brasile, dove ho avuto occasione di cantare. In qualche modo, dalla costruzione degli spazi, a come si ascolta, fino alla proposta musicale, dovrebbe essere tutto più curato, dall’inizio alla fine. Insomma, la musica non è solo un prodotto economico, è anche stimolo, crescita e cultura!



Come è nata la rassegna Da donne a donna?

Innanzi tutto, è nata insieme a Maria Luisa Celani. Abbiamo fondato l’associazione Muovi le idee e tra i tanti progetti che da un po’ di tempo volevamo proporre c’era quello di omaggiare le donne importanti che sono state significative nell’ultimo secolo. L’idea è partita dalle nostre passioni per la poesia, per la musica, per la fotografia e per il cinema, è stato molto naturale pensare a personaggi che potessero raccontare le nostre passioni e portare tutto questo in luoghi anche poco comuni per la musica: palazzi antichi, biblioteche… ambienti a prima vista solo intellettuali, elitari, che invece si prestano proprio perché ‘colti’ ad aprirsi ad altro, aprirsi per le persone che desiderano ascoltare una poetessa, una storia di una scrittrice o di un’artista. La scelta sulle donne è stata voluta, non solo come omaggio alla femminilità, ma anche per il fatto che ce ne sono tante così importanti, spesso dimenticate, che ci è sembrato giusto riportare le loro voci, rivederle come fari, come punti di riferimento culturali e politici, per dire ai ragazzi e alle ragazze che ci sono tanti modelli femminili che si possono seguire: Oriana Fallaci, Alda Merini, Tina Modotti, Frida Kahlo, Anna Politkovskaja, solo per fare qualche nome, sono donne simbolo. Quest’anno parliamo solo di italiane, vista la ricorrenza del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Abbiamo scelto nomi rappresentativi che potessero incuriosire: Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Anna Magnani, Grazia Deledda, Matilde Serao, Tina Anselmi, etc. Leggendo e facendo ricerche nel seguire la direzione artistica di questa iniziativa, io stessa mi sono sentita di poter crescere attraverso queste figure, di trovare in loro dei modelli che ora un po’ ci mancano. Ecco, guardarsi intorno serve e, a volte, serve anche guardasi indietro.

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