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Il grande valore dell'Unità d'Italia di Vanna Palumbo

Il grande valore dell'Unità d'Italia di Vanna Palumbo

Intervista al Segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.

Mercoledi, 16/03/2011 - “Non sono pessimista, anzi! Vedo in Italia il rifiorire di movimenti che fanno rivivere e difendono i valori originari dell’Unità del Paese con rinnovata forza. Siamo una nazione giovane, anche a confronto di altri stati europei. …In Italia l'’idea di un'’Europa forte è più viva che in altri paesi. Senza Europa la crisi sarebbe stata peggiore e forse l’Italia avrebbe rischiato, la bancarotta. Io voglio credere che l’'unificazione sociale e culturale del nostro paese sia avvenuta: grazie alla scuola pubblica di cui qualcuno disconosce i meriti indiscussi. E anche grazie alle lotte di emancipazione del movimento operaio in cui la nostra Cgil ha avuto così gran parte. La Cgil è una grande organizzazione federalista in cui convivono insieme autonomie e identità unitarie. C’è una triste correlazione tra chi vuole tornare alle rappresentanze sindacali nominate, anziché elette, e chi ha trasformato il Parlamento nella sede dei propri avvocati e dei propri famigli. Battendoci per la piena democrazia sindacale stiamo facendo una battaglia generale per il Paese”.



L'’Unità dell'’Italia è stata sempre considerata dai movimenti democratici del Paese un valore imprescindibile. Fra questi la Cgil che, oggi più che mai, si pone l’'obiettivo di salvaguardare l’unità nazionale, attualmente al centro di forti tensioni anche culturali e sottoposta ad attacchi del sistema politico ed economico. Qual è il valore dell'’Italia unita?

Nessuno avrebbe immaginato, 3 o 4 anni fa, quando si iniziò a parlarne, che la celebrazione del 150esimo avrebbe avuto un significato così attuale e determinante. Perché noi non stiamo solo celebrando il Risorgimento come momento fondativo della nazione ma stiamo riscoprendo i valori dell'’identità nazionale, dell'’unità del Paese e del nostro popolo in un momento in cui, sciaguratamente, questi valori e l’'unità del Paese sembrano essersi smarriti. Nessuno avrebbe immaginato tanta attualità alle celebrazioni del Risorgimento e della nascita dello Stato nazionale. Non è un caso che alcune forze politiche avrebbero preferito celebrazioni più in sordina, più simboliche, appunto. E non è un caso se attorno ai valori del Risorgimento prima e della Costituzione poi (intesa come secondo decisivo momento fondativo della Repubblica) si siano trovate oggi forze politiche e sociali di appartenenza culturale anche molto diversa. E un rinnovato entusiasmo di popolo.



Partiamo dal pensiero di Giuseppe Mazzini che, più di altri, ha teorizzato e si è battuto per l'’unità del Paese (benché per gli storici rimanga il grande sconfitto del Risorgimento). Egli puntava alla costituzione dell’Italia, “una, libera, indipendente, repubblicana”. Proviamo a declinarne oggi, a 150 anni dalla loro enunciazione e dalla nascita dello Stato nazionale unitario, significato moderno e grado di realizzazione.

A essere pessimisti si dovrebbe dire che nessuno di questi quattro presupposti sia oggi pienamente e irreversibilmente conquistato. L'’Italia è una, ma qualcuno la vorrebbe divisa in macroregioni con parlamenti autonomi. Sarebbero ipotesi risibili se quel partito che rifiuta l’'inno di Mameli e usa a malincuore il tricolore non sedesse tra i banchi della maggioranza e non avesse Ministri importanti nel Governo, tra cui il Ministro dell’Interno. Libera e indipendente oggi non vuol dire, come allora, non “occupata dallo straniero”, ma libera di esprimere le proprie politiche in quanto autorevole nel contesto europeo e internazionale. Mi pare che il nostro prestigio sia fortemente intaccato e che la nostra scarsa autorevolezza ci impedisce persino di partecipare dignitosamente alle discussioni europee e Onu sulle rivolte del Maghreb…. Persino sulla vocazione repubblicana ci sarebbe da riflettere, nel momento in cui qualcuno interpreta il proprio ruolo istituzionale come quello di un satrapo mediorientale che non accetta la separazione e l’autonomia dei poteri… Ma io non sono pessimista, anzi: vedo in Italia il rifiorire di movimenti che fanno rivivere e difendono quei valori originari con rinnovata forza. Per ricostituire un'’Italia più unita, più autorevole, più consona ai principi della Costituzione.



Lo stesso eroe dell'’800 carbonaro non esitò a ampliare la visione unitaria oltre i confini nazionali e parlò, fino ad arrivare a fondarla nel 1838, di Giovine Europa, assegnando all'’Italia la missione di ispiratrice del movimento di liberazione di tutti i popoli del vecchio continente. A parlarne oggi, quanto sembra lontana questa missione e quale dovrebbe invece essere il ruolo dell'’Italia per costruire un'’Europa moderna, per contrastare le tendenze di stati europei a ‘chiudersi’ nei propri confini e per promuovere un rafforzamento delle istituzioni comunitarie e sovranazionali oggi in crisi?



Il ruolo protagonista dell’Italia nella creazione della Comunità prima e nell’Unione Europea poi è un fatto storico, per fortuna indiscutibile. In questi ultimi anni, il ruolo e l'’immagine dell'’Europa si sono indeboliti in conseguenza della globalizzazione dei mercati e della crisi economica. Forse anche in conseguenza di un allargamento troppo rapido e repentino dei suoi confini che ha indotto molti stati nazionali a richiudersi in una difesa antistorica dei propri confini e delle proprie prerogative per paura di contaminazioni e di concorrenze straniere. In Italia l’idea di un'’Europa forte è più viva che in altri paesi. Non lasceremo che qualche partito la rimetta in discussione con la speranza di lucrare politicamente sui timori e le paure della gente di fronte alla globalizzazione. Senza Europa la crisi per noi sarebbe stata peggiore e forse l’Italia avrebbe rischiato, come nel ’92, la bancarotta sui mercati finanziari internazionali.



Camillo Benso di Cavour con la storica frase “abbiamo fatto l'’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani” preconizzava un’'identità nazionale nella quale riconoscersi tutti, pur non sottacendo le differenze storico-culturali e le contrapposizioni dei popoli della penisola. Dopo un secolo e mezzo, e a fronte di un'’attualità politica del paese che sembra indulgere a spinte separatiste e disgregatrici, si può dire che gli ‘italiani’ si riconoscono oramai irreversibilmente in un popolo unitario?

Io credo proprio di sì. Le tentazioni separatiste sono recenti e brevi in una storia segnata da ampi afflati unitari. Penso al Risorgimento ovviamente e ai suoi giovani protagonisti, poi alla Resistenza, poi alla Costituzione (anch’'essa scritta da giovani protagonisti), penso alla battaglia nazionale contro il terrorismo, alle pagine di solidarietà nazionale che abbiamo saputo far vivere nelle emergenze sociali ed economiche come nei disastri naturali. Penso anche alle piazze di questi giorni. Ai giovani, alle donne che difendono la Costituzione come patrimonio vivo di tutti e che si ribellano ai modelli culturali della televisione commerciale. Penso a coloro che si sono commossi ad ascoltare l’'inno di Mameli cantato da Benigni e che l’'altra sera, all’'opera di Roma, ascoltando il Nabucco hanno urlato ancora “Viva Verdi” volendo difendere i Valori e i Diritti di oggi. A quel grido antico e nuovo, in tanti italiani ci siamo voluti idealmente associare. Sì, credo che il popolo italiano esista come identità comune, malgrado i propri governanti.



E forse anche malgrado precise responsabilità del ’900 italiano che non hanno favorito la reale unificazione sociale ed economica ad esempio fra le due grandi aree geografiche del Paese, il Nord ed il Mezzogiorno…

I processi storici sono lunghi, non guardano ai decenni come facciamo noi, guardano ai secoli. Siamo una nazione giovane, anche a confronto di altri stati europei. Essere una nazione relativamente giovane popolata di persone relativamente anziane: questa una nostra contraddizione che oggi rende tutto molto complicato e difficile. Non avere mai colmato le disparità tra Nord e Mezzogiorno è sicuramente un'’eredità del ‘900 che ci portiamo ancora dietro e che divide economicamente e socialmente ciò che è unito istituzionalmente e culturalmente. Il secolo scorso è stato massimamente contraddittorio: ha prodotto due conflitti mondiali, la nascita dei regimi fascisti e autoritari (in cui il nostro paese è stato purtroppo un anticipatore), la fine degli imperi coloniali. La seconda metà del secolo ci ha fatto vivere la guerra fredda e l’incubo della catastrofe nucleare prima e la caduta del muro di Berlino dopo. Il ‘900 è stato un secolo ad altissima turbolenza economica, politica, sociale. Tuttavia, malgrado tutte le contraddizioni irrisolte, io voglio credere che l'’unificazione sociale e culturale del nostro paese sia avvenuta. Grazie alla scuola pubblica di cui qualcuno (che forse non l’ha frequentata) disconosce i meriti indiscussi. E anche grazie alle lotte di emancipazione del movimento operaio in cui la nostra Cgil ha avuto così gran parte.



Il Governo ha ottenuto col voto di fiducia del Parlamento il federalismo municipale ed altri provvedimenti in tal senso seguiranno, ubbidendo a spinte, non sempre di segno democratico, di cambiare l’'ossatura dell’ordinamento statuale. Come si concilia uno Stato via via ‘federale’ con il profilo teorico e programmatico della Cgil, una grande organizzazione a vocazione nazionale unitaria delle lavoratrici dei lavoratori, autonoma e confederale, incardinata sui diritti universali ed i valori della solidarietà, della coesione sociale, della democrazia politica, e contro il rischio di ogni subalternità o di deriva corporativa della rappresentanza?

Se fosse federalismo vero, la convivenza sarebbe facile. Potremmo dire con qualche ragione che la Cgil è una grande organizzazione federalista in cui convivono insieme autonomie e identità unitarie. Forse l'’unica organizzazione federalista che ci sia davvero in questo paese. Per noi differenze e solidarietà non solo convivono ma producono una linfa vitale, come dovrebbe essere in un contesto federale serio. Ma i provvedimenti e la propaganda sul federalismo cui assistiamo in questo periodo non sono ispirati a una vera autonomia dei territori. Sono solo una bandiera per la Lega e un alibi per non risolvere il problema della finanza locale. Il Federalismo per cui ci battiamo anche noi è basato su pari opportunità dei territori e pari diritti di cittadinanza. Sulla necessità di colmare le diseguaglianze ed estendere i diritti. Quando ci sarà un welfare minimo diffuso e omogeneo dalla Val d’'Aosta alla Sicilia, allora parleremo di federalismo vero e realizzato.



La classe operaia ed i grandi movimenti sociali del ‘900 si sono fusi con la storia del Paese. Con gli scioperi che accompagnarono la caduta del fascismo e l’'avvento della democrazia, essi hanno segnato un proprio protagonismo ed hanno fortemente informato lo spirito della Carta Costituzionale del ’48. Il revisionismo imperante e la supposta necessità di aggiornare anche la Legge fondamentale dello Stato assegnano ancora una volta al mondo del lavoro ed alla Cgil il compito di salvaguardare l’impalcatura che sorregge le conquiste sociali del secolo scorso……

Le lotte operaie per il riscatto, l’'emancipazione, l’'autoorganizzazione prima, il miglioramento delle condizioni economiche poi, sono state tutt'’uno con la nascita di una coscienza civile del paese e con la difesa dei valori della libertà e della democrazia. Hanno accompagnato la nascita della Nazione con i tumulti contro il rincaro dei generi alimentari e del pane, con le lotte per le 8 ore e per la riconquista delle terre dei latifondi, hanno affiancato la Resistenza, hanno difeso la pace e il lavoro nel dopoguerra, hanno salvato il paese dal terrorismo e dalle trame eversive che lo hanno avvolto per lunghi decenni. Penso che anche in queste settimane, nella mobilitazione in difesa del lavoro, dei diritti delle donne, delle opportunità per i giovani e dei valori costituzionali, ci stiamo muovendo con coerenza rispetto alla nostra tradizione culturale e alla nostra capacità di aggregazione.

Questa settimana, il 17 marzo, l'’Italia intera avvia le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità e la Cgil, con la sua storia ultracentenaria, è fra i protagonisti della grande festa nazionale. Ma con la consapevolezza che alle contraddizioni già largamente presenti all'’atto dell'’unificazione,- il mantenimento dei rapporti di produzione esistenti, l’'accentramento della macchina amministrativa, l'’irrisolta questione meridionale- si assommano, oggi, quelle di un Paese che accentua le disuguaglianze e perpetra ulteriori perniciose divisioni: territoriali, di censo, e, anacronisticamente, anche fra gli uomini e le donne, fra i giovani e gli anziani….

Certo, i principi fondativi di cui parliamo necessitano di essere coniugati al presente per essere apprezzati e condivisi, soprattutto dai giovani. Da coloro che per loro fortuna li hanno ricevuti senza aver lottato per conquistarli. Coniugarli al presente significa anche rinnovarli e irrobustirli. In questo La Cgil vede un proprio ruolo attivo. Nel denunciare la crescita di disparità e differenze di diritti, di censo, di retribuzioni, di occasioni di lavoro e di crescita. A partire dai diritti sindacali e dalla democrazia nei luoghi di lavoro. Noi pensiamo che ci sia una triste correlazione tra chi vuole tornare alle rappresentanze sindacali nominate anziché elette e chi ha trasformato il Parlamento nella sede dei propri avvocati e dei propri famigli. Noi ci batteremo fino in fondo per la piena democrazia sindacale, consapevoli che stiamo facendo una battaglia generale per il Paese, in quanto complementare e propedeutica a una piena rinascita della democrazia rappresentativa e anche ad una rivalutazione della politica rispetto al minimo di consensi cui è pervenuta.



L'intervista è stata pubblicata sul settimanale della Confederazione, Rassegna Sindacale.



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