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Il Governo chiama alla consultazione on line sulla violenza di genere

Il Governo chiama alla consultazione on line sulla violenza di genere

Rilievi critici sulla recente modalità di confronto scelta dall'esecutivo Renzi per consentire la condivisione del suo Piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere

Mercoledi, 24/12/2014 -
E’ trascorsa ormai già una decina di giorni dall’inizio della consultazione pubblica, predisposta dall’esecutivo ed avente ad oggetto le linee guida del Piano nazionale d’azione contro la violenza sessuale e di genere. Negli intenti dei suoi autori tale strumento ha come “obiettivo principale garantire azioni omogenee nel territorio nazionale atte a prevenire e a contrastare il grave fenomeno della violenza di genere, nonché tutelare le donne che subiscono violenza e i loro figli”, come si legge sul sito del Dipartimento per le Pari Opportunità. La consigliera del premier su tale materia, l’on. Giovanna Martelli, ha definito tale consultazione quale “un’operazione di trasparenza e condivisione, una forma di rispetto verso le numerose complessità che sono insite nel tema della prevenzione alla violenza sulle donne”. Senonchè a leggere i commenti fino ad oggi, in merito alle varie linee giuda del Piano, sembrerebbe che l’effetto desiderato non si sia sortito, visto che sono presenti esplicite dichiarazioni di segno contraddittorio o inutili esemplificazioni. Ossia commenti appannaggio di chi contesta la definizione stessa di violenza di genere o di chi posta la medesima riflessione a favore del rispetto degli altri generi di sessualità su ogni sezione di discussione. Solo al riguardo del Codice rosa, che prevede la presenza nei pronto soccorso di specifici percorsi per le vittime di violenza sessuata, vi è un confronto on line a più voci, a volerlo definire in siffatta maniera.



Al di là della scarsa partecipazione alla consultazione pubblica, v’è da chiedersi quanto sia opportuna tale modalità di condivisione alla definizione del Piano nazionale d’azione contro la violenza di genere. Già di per sé osservazioni e commenti sono portatori di scarsa proficuità, ove si riportino a persone, non facilmente identificabili, che postano le stesse considerazioni su varie linee guida con un facile copia-incolla, ma di fondo rimane più che pressante il dubbio che un dibattito in rete, circoscritto al breve lasso temporale di un mese, sia in grado di rappresentare “una forma di rispetto verso le numerose complessità insite nel tema della prevenzione alla violenza sulle donne”, così come ribadisce l’on. G. Martelli. Da una ricerca pilota su 28 comuni italiani riguardo a “La violenza sulle donne, politiche territoriali, Convenzione d’Istanbul. Presente e futuro in Italia”, predisposta dalla Fondazione Pangea, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Udi e resa pubblica lo scorso novembre, si evince come sia percezione diffusa che il contrasto a tale genere di violenza non sia considerato una priorità, vista “la mancata presa in carico del fenomeno da parte della società, nonché il vuoto politico e l’assenza di una responsabilità culturale”. Un punto particolarmente significativo dell’analisi concerne la modalità di raccolta dei dati nella maggioranza dei comuni interpellati (20 su 27), riguardo alla quale si constata il ruolo centrale dei centri antiviolenza, il cui supporto alle vittime di violenza sessuata dalle stesse istituzioni territoriali viene percepito come fondamentale. Il loro lavoro di rete è dagli enti pubblici considerato particolarmente prezioso, tanto che l’interlocuzione con essi e la correlata condivisione d’intenti è individuata dai comuni quale elemento da valorizzare.



Eppure D.i.Re, la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne, in un comunicato stampa di pochi giorni fa ha dichiarato di aver preso le distanze “anche pubblicamente”, dai tavoli di lavoro della task force interministeriale contro la violenza alle donne, coordinati dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio e preliminari alla preparazione del Piano, perché “il Governo ha perso un’occasione per fare tesoro dell’esperienza di chi con le donne lavora da decenni, mettendo a disposizione della collettività analisi, metodi e pratiche”. Di lì a dire no alla consultazione on line il passo è stato più che breve, perché “non è collezionando opinioni e commenti, critiche e suggerimenti, viziati dal pericolo della banalizzazione e dello svilimento del fenomeno della violenza alle donne, che si affronta il tema dei diritti violati”. Una posizione critica alquanto forte, frutto della netta consapevolezza di non avere potuto svolgere un ruolo proficuo nella consultazione diretta con il Governo, che pare avere disconosciuto l’opportunità d’una interlocuzione istituzionale con essi, a differenza, come riportato sopra, dei comuni italiani. D’altronde anche nella ripartizione dei fondi ai centri antiviolenza era avvenuta un’analoga operazione, culminata con la destinazione ad ognuno di essi di una quota annuale pari a 3000 euro a fronte di un Fondo nazionale di circa 17 milioni di euro.



La consigliera alle Pari Opportunità del premier considera la consultazione on line quale “un’operazione di trasparenza e di condivisione” ma, probabilmente, una chiara ed esplicita concertazione doveva avvenire a monte, ossia nella definizione formale e sostanziale di quel Piano nazionale d’azione contro la violenza sessuale e di genere, conseguente al confronto della task force interministeriale anche con le varie realtà associative che nella pratica quotidiana si occupano del sostegno alle vittime di tale violenza. Si potranno certamente avere specifiche posizioni critiche al riguardo del Piano, come la stessa on. G. Martelli sostiene e come del resto D.i.Re. rivendica per sé in nome della ultradecennale esperienza in tema di contrasto alla violenza sessuale e di genere, ma soltanto pensare che una consultazione on line possa avere la stessa legittimazione di un raffronto diretto con chi opera sul campo contro tale fenomeno non porta a risultati proficui. Se a tale impostazione si aggiunge la metodica alla base del Piano, per la quale la donna è intesa “come soggetto debole da tutelare e al quale imporre soluzioni e percorsi” (Nadia Somma, presidente dell’associazione Demetra donne in aiuto), criterio fortemente criticato dall'associazione dei centri antiviolenza, si comprende la netta presa di distanza rispetto sia al lavoro preliminare che alla consultazione in rete.



Risulta evidente come il criterio metodologico di questo futuro strumento d’intervento del Governo contro la violenza di genere è analogo a quanto messo in campo con la legge sul femminicidio, fortemente criticata per il suo approccio securitario dalle donne riunite in associazioni e no. E’ come se altri orientamenti ideali non siano legittimi, come se il bagaglio di conoscenze in capo a chi quotidianamente vive il duro impegno a supporto delle vittime di violenza sessuata non abbia valore e voce in capitolo. Ebbene quella voce non potrà essere sostituita da alcuna interlocuzione on line, non fosse altro che, ad esempio, perché non può surrogarsi al confronto con gli operatori dei centri antiviolenza quello con quanti in commenti, presenti in tale consultazione, scrivono: “non si può considerare violenza solo quella perpetrata dagli uomini alle donne, ma anche quella che le donne realizzano a danno degli uomini”. O no?

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