LIFE COACHING - Sarà che in questi mesi molti amici compiono i fatidici cinquanta anni...
Iori Catia Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014
Sarà che in questi mesi molti amici compiono i fatidici cinquanta anni e chissà perché ci si ritrova con piacere in vena di bilanci e di interrogativi su un futuro sempre più precario in generale e per noi appesantito da un giro di boa comunque fatale. Parchè questa atmosfera e questo sentimento collettivo? È come mettersi alla moviola per un momento e cercare di capire da dove nasce il desiderio di reincontrarsi, amici di maturità e magari colleghi universitari, giusto solo per fare il punto o per intravvedere altre possibilità di futuro. Altre nel senso di diverse rispetto al noto. Comunque nuove o insperate. Abbiamo appena fatto in tempo a dare la maturità e a incontrarci durante gli esami universitari e poi ci siamo disperse per un matrimonio che ti ha portato fuori giro, per un lavoro che ti ha costretto a spostarti altrove o per una specializzazione che ti ha rimbalzato continuamente da un luogo all’altro. Il risultato? Anni di totale rarefazione. Non ci si è poi più viste né incontrate. Chi ha fatto figli, chi ha rincorso amori sbagliati, chi ha studiato persino troppo per riuscire e sfondare nell’ambito scelto. Comunque vada, sono passati trent’anni. Oggi, improvvisamente, ci stiamo ritrovando tutti perché le tappe importanti di carriera sono un po’ come un imbuto che riporta sempre volenti o nolenti con la stessa gente ma anche perché poi per chi ha optato per la famiglia i figli sono ormai cresciuti e ci si deve comunque ripensare alla grande. E quando ci ritroviamo a cena celebriamo le medaglie di obiettivi conseguiti e di sogni realizzati e ahimè dobbiamo svelare anche le ferite. Quelle personali e quelle pubbliche. Eh si i galloni sono tradotti in studi professionali, in case signorili, in percorsi culturali di tutto rispetto o in matrimoni compatti e riusciti. I dolori personali, le ferite, sono invece un po’ più profondi e nascosti e affiorano soltanto al momento del caffè, quasi quando ci si sta per congedare. Ma di che ferite parliamo? Sono di due tipi: quelle tipiche delle neo cinquantenni: alcune rughette o alcuni chili depositati in vita a dire che sì gli anni sono passati e che si è consapevoli di ciò che non c’è più: un padre, una madre o un fratello o un amico o legami sentimentali e affettivi strazianti che ci hanno abbandonato e costrette a reinventarci per intero. E poi ci sono le ferite di lavoro, il prezzo delle scelte, le guerre aziendali, il dover accettare nostro malgrado l’arroganza disonesta e spregiudicata di chi si crede superiore. E il milite ignoto siamo sempre noi, quella parte di noi stesse, della nostra integrità e della nostra serenità interiore che ci hanno costretto a perdere. Il bilancio è positivo tutto sommato ma la battaglia è stata dura e cruenta. E del tutto impari quanto a valori personali e astuzie criminali dell’avversario. Ma ecco che il problema rispunta proprio li sul finire della cena: e ora? quale sarà la prossima tappa? E come ci arriveremo? Sembra difficile procedere con lo stesso entusiasmo che ci ha portato fin qui: ingenuità giovanile e una certa dose di incoscienza rendeva al contempo tutto possibile e magari accessibile. Ora tutto questo tempo per decidere ci scivola via dalle mani e ci sentiamo come avessimo solo un grande futuro davanti a noi. Ma il nodo ora non è più quello di cosa fare ma cosa ci interessi davvero. Per vivere veramente la nostra autenticità umana e non per imitare questo o quello o per sopravvivere all’idea che abbiamo combinato qualcosa di buono. Forse è arrivato il momento di fermarsi un attimo, di tirare il fiato e stare in silenzio coccolandoci con tenerezza: se potessimo essere madri dolcissime e comprensive del nostro cuore, sapremmo già cosa conta per noi e cosa no. E sapremmo allora da dove ripartire. Dall’ essenziale e basti quello. Tutto il resto orami ci annoia e non ci sta più.
Lascia un Commento