Lunedi, 04/09/2017 - Un episodio di qualche mese fa ha suscitato scalpore nel Québec: a Lorrainville una suora, Pierrette Thiffault ha celebrato un matrimonio. Lo scalpore è relativo perché solo l'ignoranza diffusa sul significato dei sacramenti rende talora ignari perfino gli stessi sposi di essere loro i “ministri”, cioè i celebranti del rito: il prete, nonostante il suo protagonismo cerimoniale e omiletico, è solo un testimone. Tuttavia, quando le donne assumono un ruolo ordinariamente esercitato dall'uomo - tanto più se si tratta di un contesto gerarchico come quello ecclesiastico - anche al teologo è sembrato bene accertarsi che la cosa fosse compatibile con il diritto canonico.
In questo caso non ci sono dubbi: il Codice voluto da Giovanni Paolo II nel 1983 è fatto per rassicurare: "dove mancano sacerdoti e diaconi, il vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza episcopale e ottenuta la facoltà della Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni…. Si scelga un laico idoneo, capace di istruire gli sposi e preparato a compiere nel debito modo la liturgia del matrimonio".
Solo un pervicace maschilismo può far dubitare che il genere del termine "laico" sia prescrittivo solo al maschile e, ripudiato il femminile, non sia applicabile ad una suora. Dunque nessuna paura, nessun dubbio: la morfologia ha regole certe che non vengono cancellate dagli sgrammaticati che la riconoscono nel caso meno autorevole di maestro/a e non al ruolo gerarchicamente superiore di ministro/a. Quanto alla povera suora, nonostante sia una "consacrata" tenuta ai voti di povertà, obbedienza e castità come qualunque collega ordinato, non conosce parità e non potrà accedere al sacerdozio. Le consorelle femministe trovano strana l'esclusione dall'altare, ma non ritengono di impegnarsi a fondo nella pretesa paritaria perché non vorrebbero mai assumere lo stesso ruolo di "questo" prete, dentro "questa" gerarchia. Vedono che cosa succede alle ministre. Tuttavia, anche senza essere femministe, celebrare un matrimonio è una cosa bella e sarà il caso che l'esempio faccia scuola e si moltiplichi.
Papa Francesco, per quello che possiamo intendere, non dovrebbe avere problemi. Tuttavia anche lui, che, dopo l'infanzia con la mamma e la nonna, è cresciuto in mezzo ai maschi, nei riguardi delle signore non va oltre le parole galanti (non abbiamo dimenticato il “genio femminile” di cui ci gratificò Papa Wojtyla e nemmeno la lettera di Paolo VI indirizzata alle donne alla fine del Conclio), come tutti i preti che nel rivolgersi ai fratelli aggiungono sempre e spesso fanno precedere le sorelle.
Infatti non si può dimenticare - nonostante molti esperti ne abbiano escluso i fondamenti scritturali e teologici - la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II del 1994 - Ordinatio sacerdotalis – che conferma il divieto del sacerdozio femminile e lo iscrive nel deposito della fede "in modo definitivo". Anche Francesco, in uno dei suoi discorsi di viaggio, tornando dalla Svezia, ha confermato che "l'ultima parola è stata data da Giovanni Paolo II e questa rimane". Conta poco che abbia aggiunto che "le donne possono fare cose meglio degli uomini, anche in campo dogmatico (forse l'aggettivo sarà da attribuire a qualche giornalista che non aveva bene inteso). Nella ecclesiologia cattolica ci sono due dimensioni: la dimensione petrina, la pastorale dei vescovi, e quella mariana, che è la dimensione femminile della Chiesa. E l'ho detto più di una volta. Mi domando chi è più importante nella teologia e nella mistica della Chiesa? Gli apostoli o Maria il giorno di Pentecoste? Maria.
La chiesa è donna, la Chiesa sposa Gesù Cristo. Non esiste la Chiesa senza la dimensione femminile, perché lei stessa è femminile". Qualcuna di noi pensa che petrino sembrerebbe avere a che vedere con il papato, mentre mariano al massimo riguarda le carriere universitarie.
Sappiamo che non tutti i pontefici hanno letto i Vangeli allo stesso modo e Francesco certo non li legge in polacco. E in molte battute nemmeno secondo la dogmatica tradizionale. Eppure non gli è mai venuto in mente di impegnarsi a risarcire il taceant di quel Paolo che aveva riconosciuto che in Cristo non c'è più né uomo né donna: leggiamo la prima e la seconda lettura, ma non il Vangelo e non facciamo l'omelia. E nemmeno ha mai alluso alla possibilità di ristabilire la credibilità di un sacerdozio che resta in persona Christi non perché "ovviamente" Gesù era maschio (ma anche ebreo e al massimo trentatreenne), ma per scelte di vita che fanno riferimento alla vita di Gesù e alla sua parola.
Non basta che Francesco abbia proposto una Commissione per lo studio del diaconato femminile di cui non saranno brevi i tempi e ancor meno tempestivi i risultati. Invece ha compiuto – ma per l'informazione che se ne è data, sembra a sua insaputa - il 22 luglio del 1916, un passo inedito nella direzione della parità delle donne nella Chiesa rendendo la celebrazione della messa per santa Maria di Magdala una festa con rito, gloria e prefazio propri, “come per gli altri apostoli”.
Il vere dignum et iustum est dei prefazi questa volta attesta che Gesù "in hortu manifestus apparuit Mariae Magdalenae, quippe quae eum dilexerat viventem, in cruce viderat morientem, quaesierat in sepulcro iacentem, ac prima adoraverat a mortuis resurgentem, et eam apostolatus officio coram apostolis honoravit ut bonum novae vitae nuntium ad mundi fines perveniret". In questo caso dire “mariano” non è più questione di morfologia. Se le donne non avessero altre pretese, sarebbe una prima parità di quell'ambiguo valore che i maschi chiamano potere.
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