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Il Gender Gap Report non è la Bibbia

Il Gender Gap Report non è la Bibbia

Del buon uso delle statistiche: se anche in Italia mancano le bambine

Venerdi, 17/09/2010 - Lavori in corso. Non sono arrivata a nessuna conclusione, ma vi racconto alcuni dubbi sui quali mi sto arrovellando in questi giorni e i risultati cui per ora sono arrivata. Sennò a che serve un blog? Se dovessi scrivere solo alla fine, sarebbe una rivista scientifica.



L’altro giorno mi era preso un colpo, leggendo il country profile dell’Italia nel Global Gender Gap Report del World economic Forum. Com’è noto in questa classifica noi ci piazziamo piuttosto maluccio, non da oggi: nel 2009 siamo al 72° posto fra 134 paesi esaminati.



Anzitutto precisiamo una cosa. Il Gender Gap Report non classifica i paesi secondo il benessere delle donne, ma in funzione della rilevanza delle differenze fra uomini e donne all’interno di ogni paese. Un paese in cui entrambi i sessi stessero molto male, ma in misura perfettamente eguale, sarebbe in cima alla graduatoria. E analogamente, un paese in cui le donne stessero molto bene, ma gli uomini ancora meglio, verrebbe dopo il precedente. Infatti, nella sub classifica sanitaria, Angola e Lesotho precedono Stati Uniti, Giappone e Norvegia. E’ un criterio discutibile, ma va capito, prima di utilizzarne i risultati.



Questo 72° posto dell’Italia - tra il Vietnam e la Tanzania - nella classifica generale del Gender Gap è la sintesi di quattro sub-indici: siamo al 95° posto per la posizione delle donne nell’economia (e fin qui niente di nuovo, purtroppo), al 46° per l’istruzione, al 45° per la rappresentanza politica (va male anche negli altri paesi), all’88° per “salute e sopravvivenza”.



Per un paese che qualche anno fa l’Organizzazione mondiale della Sanità metteva al secondo posto nel mondo, questo 88° posto “sanitario” è piuttosto sorprendente. E’ il risultato di due indicatori elementari: la speranza di vita in buona salute, e la “sex ratio at birth”. Per la speranza di vita in buona salute abbiamo rank 71 (le donne italiane vivono in buona salute 4 anni in più rispetto agli uomini), ma per la “sex ratio at birth” sprofondiamo al 116° (su 134 paesi). In Italia nascerebbero infatti – secondo gli estensori del Report - 93 bambine ogni 100 maschietti, esattamente come nella media del pianeta (media nella quale tuttavia, a determinarla, entrano pesantemente Cina e India, dove mancano realmente le bambine). L’uguaglianza si collocherebbe invece a 94,4 femmine per 100 maschi (oppure, è lo stesso, 105,9 maschi per 100 femmine), che è il rapporto “naturale” fra nascite dei due sessi nella specie umana.



Per effetto di una bizzarra metodologia di arrotondamenti nei punteggi, di troncamento di eventuali indici parziali superfavorevoli alle donne (cfr. pag. 56 del Rapporto), e però di classifiche dettagliatissime dei paesi, nel sub indice “health and survival” 39 paesi (disposti fra loro in ordine alfabetico) si collocano al 1° posto a “pari merito”, poi vengono gli Stati Uniti al 40° (ma con uno score quasi uguale a quello dello Yemen, che sta nella pattuglia dei 39 paesi che si aggiudicano il rank 1), più o meno casualmente seguono gli altri paesi del mondo (Svizzera, Canada e Germania sono preceduti dal Tajikistan e seguiti dal Mozambico), e in coda, giustamente, Cina e India. Come sa chiunque ha studiato un po’ di statistica, non si dovrebbe mai costruire un indicatore sintetico più dettagliato degli elementi che lo compongono.



Domanda: ma non era meglio abolire almeno il sub indice “salute e sopravvivenza”, visti gli esilaranti risultati ?



Oltretutto, ero poco convinta che in Italia nascessero 93 femmine ogni 100 maschi. Per intenderci, se fosse vero quello che loro scrivono, l’Italia sarebbe non proprio come Cina, Armenia o India, ma tipo Hong Kong, Singapore, Serbia, ecc., paesi con una moderata ma significativa eccedenza di nascite maschili, dove si sospetta la diffusione di aborti selettivi contro feti femminili, post ecografia.



Se l’ecografia consente di conoscere con ragionevole certezza il sesso del nascituro non prima del 5° mese, in Italia l’aborto in quella fase della gravidanza è consentito solo in ristrettissimi casi. In Cina e simili, si può ritenere invece che - oltre al caso-limite dell’uccisione delle neonate - ci sia soprattutto il ricorso all’aborto tardivo, evidentemente autorizzato.



Sono andata quindi a cercarmi i dati Istat sulle nascite per sesso: non facile trovarli, ma sul sito dell’Istat alla fine vengono fuori. E, secondo questi dati, nel 2008 sono nate in Italia 94,8 bambine ogni 100 maschietti e non 93 come dice il Rapporto WEF.



Pensavo di averli colti in castagna, quando qualche giorno fa, in margine ad un articolo di Neodemos, “Un mondo di maschi”, trovo che il dato “strano” esiste anche nel Factbook della Cia. Per l’Italia saremmo a 106,6 maschietti ogni 100 femminucce (lo so che è complicato, ma abbiate pazienza): in zona arancione, anche se non proprio rossa. Se volete la lista di tutti i paesi la trovate qui.



Non ho trovato sul loro sito la fonte dei dati che pubblicano, e quindi per ora mi fermo qui, altrimenti la faccio troppo lunga. In ogni caso, la questione è veramente troppo importante per non accendere i riflettori su qualsiasi indizio.

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