- Riforma sì, riforma no. Ma non possiamo riportare indietro l'orologio e gli insegnanti dovranno studiare, anche se precari, perché è il loro mestiere
Giancarla Codrignani Domenica, 05/07/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2015
L'anno scolastico è finito e le polemiche rinviate senza che nessuno ci abbia detto che d'estate solo gli sfigati parlano di scuola.
Quindi, a meno che non siano già considerate brutte parole, in primo piano vengano educazione e conoscenza, fondamento di quella vita, individuale e collettiva, che tutti a parole vogliamo civile. Che incomincia a scuola, dove la nuova generazione, formata in scuole innovative solo perché (e non tutte) fornite di computer, risulta fonte di grosse preoccupazioni.
I ragazzi infatti stanno già dentro un altro mondo, costruito da noi, vecchia generazione - ormai anche i ventenni già mentalmente condizionati ne fanno parte - che resta sgomenta davanti alle trasformazioni in atto e alle mutazioni già antropologiche che definiscono "intelligenti" le macchine.
Qualche responsabilità del nostro disagio deve assumersela la (non così buona) educazione dei vecchi (non così buoni) tempi andati, se nemmeno le donne, educatrici anche quando non lo fanno per mestiere, sanno più come ragionare con i figli e se pensare serenamente al loro destino. Impossibili, d'altra parte, l'equilibrio sociale e la politica non corrotta se i bambini crescono senza conoscere regole di convivenza sociale e rispetto di maestri, anziani, "diversi": la natura, di per sé, non è buona e solo l'educazione evita che ci costruiamo dei nemici e replichiamo le violenze. Comunque, preso atto delle dinamiche in atto, dobbiamo prevenire possibili guai: la storia è irreversibile ed esige cambiamenti senza, possibilmente, prendere cantonate. Ma partendo dalla scuola come prima struttura da riformare (almeno tanto quanto la famiglia).
La Finlandia, che passa, nelle statistiche, per avere il sistema scolastico migliore in Europa, sta riformando l'ordine delle discipline e propone di partire solo dalle ricerche sugli argomenti, mentre addirittura per le primarie intende dare a bambine e bambini la possibilità di scegliere se imparare a scrivere con la matita o il computer, con la mano che predispone alla grafia personale o a stampatello. Da noi, figurarsi, è ancora sospetta l'educazione di genere, anche se il referendum irlandese - impensabile solo cinque anni fa - dovrà velocizzare l'aggiornamento dei perbenisti e dell'ideologia cattolica. Eppure, qualcosa non è mai funzionato nel ceto docente (come nelle famiglie) se gli insegnanti temono sempre le circolari dei presidi e aspettano gli interventi di legge, senza il coraggio (?) di usare quella libertà didattica che non tolse, almeno formalmente, nemmeno Mussolini.
Ma perché questi cambiamenti nel sistema giudicato il migliore in Europa non sono all'attenzione dei nostri sindacati-scuola (nati, come confederali solo nel 1968, quando cessarono quelli corporativi)? Se oggi tutte le strutture si muovono dentro quantità di informazioni sterminate, dovremo per forza educare individui capaci di discernere per operare scelte motivate e prendere decisioni in pochi secondi, come fanno i chirurghi. Potremo mai continuare a restare al di sotto delle umane possibilità, anche quando i bambini ci mostrano che le tecnologie sono facili da usare anche per chi ha quattro anni, ma non possono diventare gabbie? Come insegneremo le lingue straniere, se gli scolari potranno ricorrere ad app in grado di tradurre simultaneamente? Come insegnare la storia e l'arte di conservare la memoria se la tecnologia contiene tutti i dati del passato? Come insegnare i poeti se il virtuale attenua le emozioni e il twittare immiserisce linguaggio e comunicazione? Come non perdere i principi della democrazia, anzi della convivenza sociale, se non inventeremo nuove regole smart, "intelligenti", per affrontare il disordine prodotto dalla resistenza alle nuove (e non necessariamente peggiori) declinazioni del sistema?
Se non riusciamo a governarne le sfide del futuro, i rischi saranno grandi. Quindi, agitare le acque fa solo bene. Perfino all'autonomia scolastica. Se non ci sono pedagogisti a cui chiedere lumi, perché anche loro sono fermi alle domande, non importa: pensare non è vietato e dire sempre di no a proposte scomode di solito non significa averci pensato.
La solitudine morale in cui viviamo tutti - giovani, genitori e insegnanti - non è una ragione per non cercare di capire come venir fuori dai garbugli che ci avviluppano. Possibile chiudere tutti i giornali, ormai letti solo sugli ipad? Possibile, certo, se non ci accorgiamo che da sempre il diritto (costituzionale) all'informazione pretendeva di più da noi; ma in futuro la libertà di stampa si salverà se fornirà cultura informata perché la voglia reale non è quella di sapere se qualcuno ha ucciso qualcun altro ma quella di "capire", che esige conoscenza e bellezza. Insomma è possibile prevedere livelli più alti di educazione anche quando cose necessariamente invecchiate decadono. Se il lavoro si sta trasformando (in Cina è stata inaugurata la prima fabbrica senza operai) e i sindacati non se ne sono accorti, non possiamo riportare indietro l'orologio del sistema. Gli insegnanti ci sono proprio per portarlo avanti. Dovranno studiare; ma, anche se precari, è il loro mestiere; e, d'altra parte, i ragazzi sono già lì per seguirli se programmeranno ricerche, non se ripeteranno nozioni. E i genitori, che - speriamo - lotteranno contro l'evasione usando il bancomat anche per il caffè o contro la concorrenza al sistema pubblico evitando i taxi uber, e che vedranno girare per la loro casa un assistente-robot, non potranno limitarsi al buonismo per educare figli più irresponsabili dell'umanoide che bada al nonno.
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