Slovacchia - In Slovacchia le recenti elezioni politiche spostano il paese verso il populismo e la xenofobia
Cristina Carpinelli Lunedi, 16/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2016
La Slovacchia ha recentemente rinnovato il proprio parlamento (primi di marzo 2016) con un dimezzamento dei voti del partito socialdemocratico uscente di Robert Fico (Smer-SD), che perde la maggioranza assoluta pur rimanendo il primo partito, con un avanzamento netto dell’asse conservatore-nazionalista, che vede il rilancio del partito nazionale slovacco (Sns), il quale rientra tra gli scranni parlamentari, e con l’ingresso, per la prima volta nel piccolo paese del centro Europa, di un partito di estrema destra “Partito popolare Slovacchia nostra” (L’sns), presidente Marian Kotleba, che conquista l’8,1 per cento dei voti, superando lo sbarramento del 5 per cento. Un partito, quest’ultimo, che non nasconde le sue posizioni neonaziste e la nostalgia per quello Stato slovacco indipendente, che fu satellite del Terzo Reich, sorto con lo smembramento della Cecoslovacchia. La vittoria di L’sns è da attribuirsi alla campagna anti-sistema e, soprattutto, anti-Rom, che ha avuto una presa straordinaria sull’elettorato della Slovacchia rurale del Nord (e a Banská Bystrica), una regione che vive costantemente difficoltà economiche e disagi sociali.
Festeggia, pure, il movimento anti-gender “Sme Rodina” dell’imprenditore Boris Kollár, nato sull’onda del fallito referendum sulla famiglia (febbraio 2015 - non aveva raggiunto il quorum del 50 per cento richiesto dalla legge slovacca), che si afferma con il 6,6 per cento dei voti, conquistando 11 deputati all’Assemblea nazionale. Tre i temi messi in campo da “Sme Rodina”: famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ‘no’ all’adozione per le coppie omosessuali, “no” all’imposizione della teoria del gender nelle scuole. Nonostante il fallito referendum sulla famiglia, sostanzialmente motivato con il fatto che i slovacchi non hanno eccessiva fiducia nella partecipazione alle votazioni (su otto referendum nei 24 anni d’indipendenza della Slovacchia, solo quello sull’ingresso nell’Ue raggiunse il quorum e fu dichiarato valido), questi tre temi sono cari al popolo slovacco - che è a maggioranza cattolica, e alla Chiesa cattolica slovacca notoriamente schierata su posizioni integraliste e politicamente impegnata nel Paese a difesa della famiglia tradizionale. Basti solo ricordare il peso che la Chiesa ebbe nel 2014 nel condizionare l’approvazione del divieto costituzionale riguardante i matrimoni gay e nel far inserire nella Costituzione il concetto di matrimonio inteso come “unione coniugale tra un uomo e una donna”.
La lettera pastorale pubblicata nel mese di dicembre 2013 dalla Conferenza dei vescovi slovacchi (KBS) definiva la famiglia come un’istituzione divina, formata da un uomo e una donna, e coloro che la minacciavano venivano bollati come “attori della cultura della morte” (aktéri kultúry smrti). La decisione del divieto costituzionale alle nozze gay in Slovacchia, seguiva a quella assunta nel dicembre 2013 dalla Croazia, dove una valanga di “si” a un referendum aveva introdotto uno stesso divieto costituzionale. Dunque, questo Paese si allineava ad altri dell’ex blocco comunista, come appunto la Croazia, o Polonia, Ungheria, Bulgaria, Lituania e Lettonia, che avevano preso una simile decisione sul matrimonio. Nei due Paesi baltici (come in Russia) c’è persino una legge che impedisce alle associazioni di chiedere diritti e tutele per gli omosessuali, perché è considerato come una forma di propaganda. Anche il parlamento della Romania ha respinto ogni ipotesi di riconoscimento e parificazione tra matrimonio e unioni omosessuali, e proprio in questi ultimi mesi le associazioni pro-family sono riuscite a raccogliere più di due milioni di firme (ben oltre la soglia necessaria di 500mila firme prevista dalla legge) per introdurre una modifica costituzionale di garanzia per la famiglia, che veda presente nella definizione di matrimonio la specificità che gli sposi possano essere solo una donna e un uomo e i genitori solo “una mamma e un papà”.
Le ultime elezioni parlamentari in Slovacchia hanno determinato uno spostamento dell’asse politico a “destra”, poiché la grande parte dell’elettorato ha gradito la linea di quei partiti conservatori e nazionalisti (in testa - il partito nazionale slovacco) che in campagna elettorale avevano indicato come principali nemici del paese - l’Unione europea, le popolazioni Rom e i migranti, nonostante il fatto che il partito socialdemocratico avesse già dichiarato prima e dopo la campagna elettorale di voler difendere le frontiere esterne di Schengen, di non accettare il piano Ue di redistribuzione dei rifugiati, ma soprattutto di chiudere il proprio territorio ai profughi di religione musulmana (“in Slovacchia non potrà mai formarsi una comunità musulmana unificata!”). Anche se al momento, i dati ufficiali contano solo 5mila persone di fede musulmana regolarmente registrate, ed il sistema delle quote richiederebbe a Bratislava l’apertura dei confini per soli 803 rifugiati. Tuttavia, l’accento anti-europeo e la retorica populista anti-migranti portata avanti dal premier Robert Fico, più che altro a fini strategici elettorali, non sono stati vincenti, poiché di fatto ha favorito le formazioni estremiste di destra che su come risolvere, ad esempio, la questione migranti, avevano delle idee più chiare e semplici rispetto ai social-democratici slovacchi. E nulla è valsa anche la decisione del premier, del tutto incurante di rappresentare un partito socialdemocratico, di appoggiare a suo tempo l’approvazione del disegno di legge contro le unioni omosessuali, atto che Robert Fico non aveva esitato a definire come un importante “evento storico”.
L’atmosfera che si respira oggi nella piccola Repubblica slovacca non ha nulla della festa. La politica dei tre pilastri - Dio, Patria, Famiglia - su cui poggia tutto lo schieramento conservatore di destra, sta creando i presupposti per una deriva autoritaria e xenofoba nel paese, che tenta di rispolverare la cittadinanza etnica (la democrazia etnica è quella che si basa sullo ius sanguinis) e di vietare l’aborto. Come non ricordare le 85mila persone in marcia per la vita nel settembre 2015 a Bratislava. O l’opera assidua della piattaforma “Forum per la vita” (Fórum života – presidente Marcela Dobešová), che con il suo progetto “Una candela per i bambini non nati” (Sviečka za nenarodené deti) sollecita ogni anno i propri membri e volontari a recarsi in visita presso scuole, comunità e varie istituzioni per parlare della necessità di proteggere la vita umana e la sua dignità dal momento del concepimento. O, infine, lo scontro sull’aborto al Parlamento Ue, nell’ottobre 2013, che ebbe tra i principali protagonisti contrari alla proposta di Risoluzione su “Salute e diritti sessuali e riproduttivi”, l’eurodeputata popolare slovacca Anna Záborská. Chiaro segno che la Slovacchia non si arrende all’aborto e agli attacchi contro chi attenta al diritto naturale. In ballo è ora una proposta di modifica legislativa in materia di protezione della vita e di aiuto alle donne in gravidanza in situazione di crisi.
L’obiettivo è arrivare a proteggere la vita di “tutte le persone senza distinzione, anche i bambini non ancora nati”. Eppure, si potrebbe ricordare a questo paese la barbara pratica della sterilizzazione forzata delle donne Rom, di cui si è macchiato per decenni - anche dopo la “rivoluzione di velluto”. Una brutta vicenda - pare - “non ancora del tutto archiviata”, nonostante il Codice penale slovacco abbia introdotto il delitto di sterilizzazione forzata. Ma la paura che le nascite “bianche” possano superare quelle Rom, giustifica qualsiasi misura. Questo è quello che pensano quelle forze politiche di destra, che durante la campagna elettorale sono scese in piazza a difesa della vita e della famiglia naturale.
Il popolo slovacco sembra avere una coscienza ben salda nei valori tradizionali. Un recente sondaggio (2015) ha mostrato che tra il 70-90 per cento dei cittadini slovacchi sono a favore della famiglia tradizionale e contro l’“ideologia” del gender. Un’ideologia considerata di stampo “antinazionale”, che si sta insinuando ovunque, in Occidente e non solo, e che va combattuta a ogni costo per il bene del paese.
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