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IL FORMEZ DELLA REGIONE SICILIA

IL FORMEZ DELLA REGIONE SICILIA

Ci è costato 6 milioni di euro, così si dice, il Formez della Regione Sicilia per un corso di formazione alle operatrici dei centri antiviolenza siciliani. Sei milioni di denaro pubblico per coprire i costi di questa felice idea soprattutto quelli per p

Giovedi, 11/07/2019 - Il Formez della Regione Sicilia contro la violenza di genere
Tiziana Iocolano


Ci è costato 6 milioni di euro, così si dice, il Formez della Regione Sicilia per un corso di formazione alle operatrici dei centri antiviolenza siciliani. Sei milioni di denaro pubblico per coprire i costi di questa felice idea soprattutto quelli per pagare i docenti, tutti uomini, dipendenti dell’Ars. Ebbene, giacché per diversi anni ho prestato servizio volontario in un centro antiviolenza siciliano, vorrei dire la mia su questa iniziativa della Regione.
I centri antiviolenza nascono per contrastare “la violenza di genere” cioè quella specifica violenza perpetrata dal genere maschile sul genere femminile, espressione della sottomissione che da tempo immemorabile viene inflitta dagli uomini alle donne con la benedizione delle religioni misogine e scioviniste che da sempre mettono l’uomo al centro del cosiddetto Creato.
In Italia, i centri antiviolenza sono nati ad opera delle femministe storiche e Raffaella Mauceri, com’è noto, è una giornalista esperta di women’s studies, nonché una femminista storica militante e in prima linea che, sin dagli anni 70, si è tenuta sempre al passo con l’MLD (Movimento di Liberazione della Donna) facendo innumerevoli viaggi a Roma, dove seguiva corsi e convegni, nazionali e internazionali, organizzati dalle colleghe romane di Differenza Donna. Posso dunque affermare senza tema di smentita che Raffaella Mauceri ha letteralmente alfabetizzato questo territorio sulla violenza di genere quando nessuno sapeva nemmeno che cos’era. Nacque così, nel 2004, la famosa “Rete Centri Antiviolenza di Raffaella Mauceri” e in seguito il suo grande Coordinamento Donne Siciliane contro la violenza.
Impossibile contare le conferenze organizzate da Raffaella Mauceri per divulgare la cultura della non-violenza, le manifestazioni, i flash mob di sua creazione, le marce, i sit-in, i volantinaggi, per non parlare delle centinaia e centinaia di articoli a sua firma pubblicati sul suo periodico Il Corriere delle Donne e su diversi altri.
Contestualmente teneva corsi di formazione ai gruppi di nuove iscritte alla Rete Antiviolenza di Siracusa, regolarmente seguiti da un congruo periodo di tirocinio, nonché decine e decine di seminari di formazione a tutte le istituzioni, Polizia, Carabinieri, personale ospedaliero medico e paramedico, ai docenti e alle scolaresche delle scuole superiori della provincia di Siracusa, nonché 4 corsi di formazione (accreditati) ai suoi colleghi della Stampa che allora non avevano neanche idea di come si riferisce una notizia su un episodio di violenza di genere. A tutti i corsisti, inoltre, Raffaella Mauceri ha sempre rilasciato le dispense, l’attestato e il manuale sulla violenza di genere da lei scritto e pubblicato per le “Edizioni La Nereide”.

Era instancabile, inesauribile, trainante, coinvolgente. Ancora oggi chi va a dare un’occhiata al sito della Procura, trova un trafiletto come e qualmente il Procuratore Giordano chiese a Raffaella Mauceri un briefing tra le sue avvocate e i PM. E sarà bene ricordare che se la Sicilia ha una legge sulla violenza di genere è merito di Raffaella Mauceri che nel lontano 2008 presentò una bozza di legge all’onorevole Vinciullo il quale si prese l’incarico di portarla a buon fine e mantenne l’impegno. Temo che a Siracusa non ci sarà mai più un’altra Raffaella Mauceri, e temo altresì che la natura originaria dei Centri se ne andrà a ramengo. Dico questo perché la Regione Sicilia se n’é uscita con questa bella trovata di far fare formazione alle operatrici dei centri antiviolenza (che già operano da anni!) e per di più condotti da formatori uomini! Uomini che devono spiegare alle donne (ripeto e sottolineo: fondatrici e operatrici dei centri antiviolenza) come e perché gli uomini fanno violenza alle donne! Assurdo! Ridicolo! Aspettavamo proprio questa iniziativa per cantare il deprofundis dei Centri antiviolenza siciliani. E ci dicono che la stessa cosa sta succedendo in diverse altre regioni italiane. Orrore e raccapriccio!
“Per anni – dice la Mauceri - siamo state “assediate” da uomini che pretendevano di entrare a far parte dell’organico finché sulla legge Vinciullo apparve un passaggio fondamentale della Convenzione di Istambul secondo la quale i Centri a.v. si fondano sul “rapporto donna a donna”. Ciò malgrado continuarono a perseguitarci sostenendo che ci sono uomini sensibili al dolore delle donne non meno delle donne stesse, dimostrando così di non riuscire a capire o di non voler capire il punto, il senso e lo scopo del “rapporto donna a donna”: quello di valorizzare, praticare e incrementare la solidarietà fra donne”.
“I Centri – continua la Mauceri - sono nati con questo spirito che non per caso abbiamo battezzato con un neologismo di identificazione e di battaglia: “sorellanza”. Vero è che di tanto in tanto capitava che la donna maltrattata veniva al nostro Centro incoraggiata e accompagnata da un uomo che poteva essere il padre o il fratello o il cognato, insomma un uomo di famiglia. Ma nella stanza di accoglienza entrava soltanto la vittima perché il lavoro dei Centri antiviolenza si fonda su un rapporto di reciprocità nel quale ha luogo un processo di identificazione tra la vittima e le operatrici, identificazione improbabile se non del tutto impossibile fra un uomo e una donna che ha subito violenza da un uomo. Soprattutto quando si tratta di violenza sessuale. In quel caso, può succedere semmai il contrario e cioè che, inconsciamente, la donna identifica qualsiasi uomo le sta davanti con l’uomo che l’ha violentata e maltrattata”.
Nei Centri antiviolenza, infatti, non è consentita la presenza di uomini ai colloqui d’accoglienza e men che meno la presenza dei diretti responsabili della violenza… che ovviamente protestano. Ma provate ad immaginare come può una donna raccontare la sua condizione di vittima davanti al suo maltrattante. Chiunque può facilmente capire che non potrà dire la verità perché lui non farà che smentirla e contraddirla e, una volta tornati a casa, gliela farà pagare. Non per niente, quando finiscono al pronto soccorso, le donne maltrattate che hanno al loro fianco il responsabile delle percosse, dicono tutte: ‘Sono caduta dalle scale’. E non ci vuole una grande fantasia per capire che mentono per paura di essere ulteriormente picchiate e maltrattate.
Peraltro l’argomento del colloquio è molto delicato, intimo, a volte letteralmente scabroso e la donna può provare disagio e omettere molti aspetti della violenza subita, oppure eludere le domande delle operatrici. Un disagio maggiore, inoltre, possono provarlo le stesse operatrici del Centro, per le quali qualsiasi uomo, seppure parente della donna, è non soltanto un estraneo ma un estraneo ostile.


Viene anche obiettato ai Centri di strutturarsi ed agire come se la violenza fosse un problema femminile e non anche degli uomini. Falso: tutte le donne che lavorano nei Centri sanno perfettamente che il problema li riguarda entrambi ma, sia ben chiaro, per motivazioni opposte. Addirittura c’è una scuola di pensiero secondo la quale il fenomeno della violenza sulle donne è essenzialmente un problema maschile nel senso che questo tipo di uomini devono DIS-imparare a maltrattare le loro compagne. Certo, le operatrici sarebbero ben contente che gli uomini maltrattanti facessero una riflessione su di sé e sulle loro modalità violente di rapportarsi alle donne, se non fosse che costoro non mostrano affatto di essere disponibili a fare né riflessioni né cambiamenti. Ecco perché vanno fatti separatamente due corsi di formazione: uno alle vittime e l’altro ai carnefici. Ma, a loro volta, i conduttori dei corsi di rieducazione dei violenti devono prima frequentare un corso di formazione ad hoc tenuto dalle operatrici dei Centri.
Attraverso i seminari tenuti alle forze sociali (polizia, carabinieri, ospedalieri, docenti, ecc...), attraverso la stampa e soprattutto attraverso il sostegno stesso che offrono alle vittime, i Centri diffondono incessantemente una cultura della non-violenza, generale e intrapersonale, da contrapporre alla cultura violenta tipicamente patriarcale. E scusate se è poco.

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