Domenica, 15/12/2019 - Se dal lato umano la storia di “Santa Scorsese” riceve tutta la mia vicinanza come donna, come persona che rigetta ogni forma di violenza, come militante dei diritti alle pari opportunità e contrasto alla violenza di genere col comitato “Donne in fermento” ho qualche dubbio.
Il film di Alessandro Piva racconta la storia di Santa, una ragazza semplice, come tante, che vive a Bari negli anni 80. Poco più che maggiorenne sogna di diventare missionaria, frequenta assiduamente la Chiesa e con sorelle a lei vicine e padri spirituali si incammina verso questa strada. Santa vive la sua spiritualità in pieno raccoglimento e affidamento della sua vita a Dio; i suoi pensieri di consacrazione vengono ben sottolineati nel film documentario, anzi diventano filo conduttore della storia di Santa. Il film monta interviste di sacerdoti, vescovi, sorelle, familiari, in chiese che fanno rimbombare la voce di chi è intervistato, come se si volesse suggerire la forza superiore del racconto.
Statue di Madonne e Crocifissi sono inseriti e montati durante l'intervista in modo fortemente suggestivo e di invito ad una lettura di stampo religioso dal direttore della fotografia. Delle altre donne di quel periodo, delle leggi in atto, di dati e ricerche del tempo, di parallelismi tra ieri e oggi nessun accenno se non qualche traccia alla fine, tra i titoli di coda, mentre il pubblico sta per andare via. Quasi fosse un dettaglio e invece dettaglio non è, perché la lotta e l'esempio di una è la lotta e la voce di tante. Questa è la nostra forza. Non vogliamo stagliare la donna uccisa sul piedistallo dell'eroina o della martire, diventerebbe un fatto isolato ed eccezionale, invece il femminicidio è un fatto che accade nella normalità, che viene accettato nella piena normalità, come se da un momento all'altro dovessimo sentire e risentire questi fatti di cronaca. Non è un fatto isolato o che riguarda il martirio, è una eliminazione sistematica di genere: questa è la crudeltà.
Il pericolo è che la lettura sia fortemente religiosa, ponendo la ragazza- martire al di sopra di ogni fotogramma, inserendo come lettura tra le righe che nonostante Santa non non se la sia cercata l'assassinio è avvenuto ugualmente. Per una che lotta nel paese se deve o non deve portare i pantaloncini da corsa quando corre, questa interpretazione del racconto è allarmante. Come se la mia lotta finita anche nelle aule dei tribunali fosse stata vana. Le lotte, anche quelle apparentemente piccole rispetto a fatti di sangue costano sacrifici, umiliazioni da parte di legali senza scrupoli, tempo rubato alla bellezza della cultura, della poesia o della normale quotidianità. Le lotte costano sangue sulla mia pelle, ed è per questo che è gravissimo tornare indietro. Anche attraverso mezzi di comunicazione che portano messaggi fuori tempo.
Il martirio di Santa è avvenuto per mano di un folle, di uno sconosciuto che non smetteva di seguirla e perseguitarla. Il 15 marzo 1991, al rientro a casa, Santa infatti viene accoltellata e muore ad appena 23 anni. E questo a livello umano ci fa stare male; c'è una vicinanza alla famiglia fortissima. Ma dal punto di vista del crimine sono pochissimi i casi di folli che ammazzano le donne, anche se questa povera ragazza lo ha incontrato.
I folli per la maggior parte nei femminicidi o maltrattamenti e umiliazioni sono nelle nostre case e sono i nostri mariti e compagni. E non siamo eroine perché siamo tante tantissime. E ci batteremo fino a Strasburgo per i nostri diritti. È quasi un testamento. Ed è una Promessa con la p maiuscola.
Elena Manigrasso
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