Domenica, 09/12/2018 - E' noto a tutti che la società feudale sia scomparsa da secoli, ma è altrettanto noto che, se il feudalesimo si è sfaldato con la nascita degli Stati Unitari, nella testa e negli usi e costumi del Sud Italia, è morto molto tempo dopo. Ma mi azzardo a dire, da femminista, che nel Sud non è morto ancora. È vivo e vegeto nella testa del signore, del pater familias, del capo famiglia, anche se il diritto di famiglia oggi è ben altra cosa. Il Sud Italia anche dopo l'Unità era diviso in baronie, con baroni che avevano tra le mani i latifondi, insieme ai contadini e le loro famiglie, tenuti in stato di semi schiavitù. Il principio di autorità veniva a costituire un tessuto connettivo che legava tra loro tutti gli aspetti del mondo contadino feudale e che aveva alla propria base il rapporto di subordinazione diretta, giuridica-politica-militare-religiosa, del lavoratore al suo signore" La mentalità del padre padrone è passata poi nella testa del capo famiglia, che dettava a suo piacimento le leggi sul corpo della sua compagna e della prole. Se la donna sgarrava su quelli che erano i suoi doveri, o se solo il suo marito-signore immaginava che avesse rapporti extraconiugali, anche senza l'uso di prove, essa veniva obbligata a fare pubblica ammenda, davanti ai parenti o addirittura davanti all'intera collettività, posta sopra la groppa di un mulo e facendola girare in paese con suono di fischietti rudimentali. Era la pubblica gogna, la riparazione di una colpa attraverso scuse, più che altro umiliazioni pubbliche, fatte perché la famiglia di lui esigeva che la donna si prostrasse ai loro piedi; la gogna, o berlina, era quindi una condanna eseguita in pubblico in cui la vittima era esposta al ludibrio ed agli insulti degli altri membri della comunità. La gravità della pena dipendeva quindi dall'atteggiamento della popolazione nei confronti del reo; se la riprovazione della comunità era elevata, tale pena poteva risultare anche molto gravosa, risultava ignominiosa e infamante. Il pubblico banditore, avvertiva che in paese ci sarebbe stato "l'uso della gogna” cioè si rendeva parte attiva l'intera comunità delle attività dubbie di un individuo, della donna punita anche senza prove. Tutto ciò poteva avvenire anche attraverso vere e proprie sfilate in cui la donna o il reo in genere, era mostrata in segno di disprezzo in paese, con abiti particolari (ricordiamo l'opera “La lettera scarlatta”). “Questa abitudine è cessata”, dichiara nel suo testo il professore universitario Marcello Aprile (dalle parole ai dizionari) “i modi di dire in paese no” (ti faccio girare cu lu ciucciu cu li sueni).
E invece la vergogna sta proprio nel fatto che non sono rimasti i modi di dire, ma i fatti.
Ci sono uomini che rivolgono accuse infamanti alle proprie mogli, per poi imporre (e vorrebbero che l'atto si completasse anche attraverso forme legali), di fare pubblica dichiarazione di scuse se le loro compagne volessero rinsaldare il rapporto, cioè tornare con loro. Pubblica dichiarazione come? Davanti a un gruppo di famigliari chiaramente di lui, come le famiglie tribali, che cominciano a schernire la donna?
E cosa significa poi “fare pubbliche scuse”. Esiste nel diritto civile e penale?
Questa domanda la pongo agli amici avvocati.
Non siamo ancora usciti dal feudalesimo, ecco perché quando leggo casi simili di donne Pakistane come il racconto di Tehmina Durrani: “My feudal Lord”, mi viene la pelle d'oca, pensiamo che quei luoghi siano indietro rispetto ai nostri modernissimi paesi. Modernissimi fuori, nelle case vige la legge del Medioevo per le donne, io che vivo in un piccolo paese del Sud posso dirlo con precisione, precisandone i casi particolari, chiaramente lo farò nei luoghi e nei tempi dovuti. Qualcuno si scandalizzerà di queste parole. Eppure è così. Tanti i casi detti tra i denti, sussurrati al di fuori delle mura domestiche. Poche ancora le donne che denunciano, e per i fatti che sembrano da Feudalesimo si stenta a credere alle parole, alle testimonianze di donne che hanno subito e subiscono ancora. Abbiamo bisogno di legali che portino a testa alta questi casi, che denuncino insieme alle donne che il privilegio feudale è una vergogna che ancora esiste nei nostri paesi.
Elena Manigrasso
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