Riflessioni - Una proposta di rilettura e un esame delle difficoltà della sua trasmissione nel libro edito da Viella
Hela Mascia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2006
In che cosa oggi la politica della differenza è carente rispetto agli scopi che il femminismo anni Settanta si era dato? Qualche risposta a questo interrogativo la dà il libro su “Il femminismo degli anni 70” a cura di Teresa Bertilotti e Anna Scattigno (Ed Viella pp. 256 euro 22). Il testo raccoglie gli atti della Scuola estiva della Società Italiana delle Storiche che si è tenuta a Firenze nel 2004 e che aveva come tema “La sfida del femminismo ai movimenti degli anni Settanta”.
Partendo dalla “scandalosa provocazione di Carla Lonzi” che aveva denunciato come “la forza dell’uomo fosse nel suo identificarsi con la cultura, mentre la nostra sta nel rifiutarla”, scrive Lea Melandri “il gesto di rivolta era inteso come deculturizzazione. Ma è proprio intorno a questo gesto, che (Carla Lonzi) fa il vuoto di tutto l”operato”, il “pensato” maschile sulla donna, che si aprono strade diverse, modi diversi di intendere la nascita di un soggetto e di una parola nuova” (pag. 93).
Dalla lettura a più voci emerge che il periodo fra il 1975 ed il 1977 è quello dell’evidenziarsi, in forma esplosiva, della grande questione fra il femminismo e le forme tradizionali della politica. Sono gli anni in cui il rapporto con la politica diviene palese dissidio che vede nel 1976 il movimento delle donne, UDI compresa, decidere di scegliere una forma di autonomia che si espresse nel rifiutare indicazioni di voto. Contemporaneamente le donne militanti nelle varie organizzazioni della sinistra si autoescludono dalla politica tradizionale e dai gruppi misti per scegliere spazi separati. Al centro del rapporto politico tra donne c’era il ‘corpo’ e la sessualita’ femminile.
Alla fine degli anni Settanta, finisce il periodo dell’autocoscienza e dei piccoli gruppi ed inizia la fase discendente. Scrive Manuela Fraire:...”Il distacco dall’autocoscienza ha generato un esercizio del pensiero teorico. Ne è nata una teoria della soggettività femminile che ha attraversato diversi saperi ......Alle “teorizzazioni” va riconosciuto il grande merito di aver dato forma e pensabilità ad un punto di vista sul mondo, intendo sui due sessi, a partire dalla soggettività femminile” (pag. 72).
L’elaborazione teorica in circoli culturali come Diotima, separati dalla politica ha però ostacolato la trasmissione dell’esperienza radicale del femminismo italiano che aveva avuto un carattere di massa superiore a quello di ogni altro paese.
Le storiche non nascondono la difficoltà di trasmissione della storia e Anna Rossi Doria, con onestà intellettuale, parla del testo come di una ipotesi per una storia che verrà.
Nel frattempo questa proposta di rilettura fa emergere la difficoltà di rintracciare, in questo inizio di terzo millennio, qualcosa delle teorie e delle pratiche di trasformazione di sé e del mondo del feminismo anni Settanta. La distanza è tanto ampia da suggeritre l’uso di un altro termine per indicare l’associazionismo femminile odierno e la sfida alla “politica” tradizionale rappresentata dalle cosiddette “quote rosa”.
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