Giovedi, 01/06/2023 - Non avevo dubbi, ne ho lette e viste troppe. So benissimo che noi donne non ce ne andiamo ma veniamo uccise, e so benissimo che veniamo uccise dai nostri compagni. Questa è la realtà. Chi dice o addirittura pensa il contrario o è profondamente ignorante tanto da non vedere dove vive, o è in mala fede. Chi dice o pensa il contrario vuole illudersi di uno scenario molto più rassicurante in cui il pericolo viene sempre da fuori, dallo straniero, quando invece la statistica ci ripete in modo inequivocabile il contrario.
Non avevo dubbi che Giulia Tramontano fosse stata uccisa, e che fosse stata uccisa dall’uomo con cui condivideva la vita. Un’altra Giulia. Nel mio libro “E ‘l modo ancor m’offende” ci sono due Giulia, e la madre di una delle due una volta mi ha detto che Giulia è un nome ricorrente tra le vittime di femminicidio. Questo probabilmente non è vero, è solo che lei e io facciamo più caso ad un nome che per noi personifica un affetto particolare.
Giulia era incinta, tra circa due mesi sarebbe diventata mamma. Non so cosa provasse nei confronti della sua maternità, ma so che il suo bambino probabilmente avrebbe avuto il cognome dell’uomo che l’ha uccisa. È un argomento che mi preme molto quello del cognome, perché è emblematico di quel potere patriarcale e di quel senso di proprietà che è proprio la causa dei femminicidi. Il cognome paterno non è una tradizione, è un’imposizione. Il doppio cognome non è cacofonico, è il riconoscimento della pari dignità sociale di donne e uomini, di madri e padri. Gli uomini che ci uccidono non sono pazzi o malati, come la stampa e magari la magistratura diranno anche in questo caso, come vergognosamente dissero nel caso di Giulia Galiotto, gli uomini che ci uccidono sono sanissimi figli della nostra cultura che giustifica il potere e la violenza degli uomini.
Non siamo noi donne a dover imparare a non andare all’ultimo appuntamento, non siamo noi donne a dover imparare a cogliere i segnali della violenza, sono gli uomini a doverla smettere! Sono gli uomini a dover smettere di ucciderci! Leggo che l’assassino di Giulia ha tentato di bruciare il suo cadavere: bruciare, distruggere la materialità del nostro corpo, è un atto di estremo potere, che mira a cancellare la nostra identità, la nostra stessa esistenza su questa Terra. Leggo che come altri uomini aveva cercato online il modo per disfarsi del cadavere della donna che aveva progettato di uccidere, con tanti saluti all’amato quanto inesistente raptus di follia.
Di storie di donne vittime di femminicidio ne ho lette ormai tante, ne ho scritte tante. Oltre a Giulia Galiotto, nel mio libro ho raccontato la storia di due donne uccise durante le loro gravidanze: Barbara Cicioni e Marilia Rodrigues Silva Martins. Entrambe avevano già scelto i nomi delle loro bambine, ma gli uomini che l’anagrafe e lo Stato avrebbe definito padri di quelle bambine hanno scelto di disfarsi di loro, come si fa con i rifiuti, con gli oggetti vecchi che ci hanno stancato, che non ci soddisfano più. Questo siamo per questi uomini: oggetti.
Marilia, nel mio racconto di lei, si chiede: «Su questo bisognerebbe davvero riflettere: gli uomini preferiscono uccidere una donna piuttosto che lasciarla. Come è stato possibile che una deformazione culturale ed educativa li abbia portati a quest’assurdità?» Anche l’assassino di Marilia tentò di bruciare il suo cadavere per cancellare la sua esistenza.
Barbara ci interroga: «La sento, la vostra domanda, quella domanda che avete sempre pronta, per qualsiasi donna che abbia subìto violenza dal suo compagno: perché non l’hai lasciato? È un ritornello invero ormai noioso, che ad un certo punto del racconto arriva sempre, inevitabilmente. Ma perché non iniziate a chiedervi perché lui continuava a farmi del male? A fare del male ai suoi figli? Perché lui non mi ha mai lasciata libera di vivere in pace la mia vita? Non chiedevo altro. Ma no, questo voi non ve lo chiedete, nessuno se lo chiede. È più comodo, più facile dare la colpa alle donne, sempre alle donne, anche quando siamo noi le vittime, perfino quando veniamo uccise. La colpa non è mai degli uomini. Com’è possibile? È questo il mondo in cui devono crescere i miei figli?»
No, non è questo il mondo in cui dovrebbero crescere i figli di Barbara, ma è questo il mondo in cui sono cresciuti, in cui tutte e tutti noi siamo cresciuti. E il mondo è questo perché noi lo abbiamo costruito così, e perché noi ogni giorno continuiamo a mantenerlo così anche se siamo convinti di essere tanto evoluti rispetto a chi ci ha preceduto. Il cambiamento dipende da noi, da ciascuna e ciascuno di noi, dipende da una miriade di parole e gesti quotidiani erroneamente giudicati insignificanti, come confondere lite e violenza, come definire un assassino “un bravo ragazzo”, come rifiutare il cognome materno, come rimproverare un bambino perché non faccia la femminuccia, come l’imposizione alle donne della bellezza e dell’eterna giovinezza, come il rifiuto della declinazione al femminile delle professioni, tutte cose che quotidianamente determinano in che mondo viviamo.
Viviamo in un mondo in cui Giulia Tramontano, Giulia Galiotto, Giulia Ballestri, Barbara Cicioni, Marilia Rodrigues Silva Martins – e tantissime altre donne – vengono uccise in quanto donne, in quanto donne che hanno rivendicato, ciascuna a suo modo, la propria libertà di essere e la propria libertà di vivere.
Non si può parlare della violenza maschile contro le donne solo il 25 novembre e l’8 marzo, e non se ne può parlare solo come un problema di sicurezza. Se ne deve parlare tutti i giorni, tutti i minuti, e se ne deve parlare come un gravissimo problema culturale che ci riguarda tutte e tutti, che riguarda anche e soprattutto voi che state voltando la testa di fronte a queste mie parole, che avete sbuffato di fronte a queste mie parole dicendo «uffa, un’altra femminista arrabbiata», riguarda tutte le ragazze e i ragazzi che stanno crescendo e che in questo momento devono scegliere chi diventare, per cosa lottare.
Lottate per la libertà. Lottate anche per chi non ha o non ha più la forza di farlo. Lottate anche se vi dicono che non ne vale la pena. Lottate anche se vi dicono che il mondo va bene così.
NO! Il mondo non va bene così! Ma solo noi possiamo cambiarlo, un minuscolo passo alla volta.
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