Il femminicidio di Clara: il senso di una sconfitta
Clara Ceccarelli, vittima di femminicidio, era così sicura di morire per mano del suo carnefice, che si era pagata in anticipo le spese del proprio funerale
Martedi, 23/02/2021 - Il femminicidio di Clara Ceccarelli, la donna genovese di 69 anni uccisa pochi giorni fa con più di cento coltellate da Renato Scapusi, l’ex convivente che non si rassegnava alla conclusione della loro relazione, si connota ancora più drammaticamente per due particolari di non poco conto. A detta di alcuni conoscenti della vittima, la donna aveva già scelto e disposto il compenso di un tutor per il figlio disabile, nel caso lei non ci fosse più stata, come anche approntato il pagamento delle spese del proprio funerale, per non gravare economicamente sul padre e sul figlio.
Cosa ci raccontano questi elementi specifici della vita di Clara, se non che considerasse inevitabile morire per mano del suo ex compagno? Quale altra spiegazione potrebbe addursi per tali decisioni, connotanti indubbiamente non solo il presagio di una tragica fine, ma la sua ineludibile certezza? Vengono i brividi solo ad immaginare che la donna abbia varcato la porta di un’agenzia funebre e preordinato quel pagamento così particolare, frutto di una razionale considerazione, ossia che la morte fosse il suo futuro immediato.
Come sia stato possibile che Clara fosse determinata in tal senso si può solo ipotizzare, semmai cercando certezze in alcuni elementi della sua storia più recente. Il 30 marzo 2020 si era recata presso un commissariato per sporgere denuncia al riguardo di alcuni episodi di danneggiamento avverso la propria attività commerciale, ribadendo «Non sono sicura, ma credo che l’autore di quei gesti sia Scapusi Renato, mio ex compagno...». Dei rapporti con lui aveva raccontato alle forze dell’ordine che erano diventati «intolleranti, causando anche il suo allontanamento dalla mia abitazione», dopo averlo peraltro licenziato come commesso del proprio negozio.
Il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, ha tenuto a specificare che "Non risultano però denunce a suo (ndr Renato Scapusi) carico o altri procedimenti", ma quella segnalazione del 30 marzo 2020 finì poi in Procura immediatamente dopo, inserita in un procedimento a carico di ignoti perché la polizia attestò che, «nonostante la familiarità» con altri gesti simili, «vista la mancanza di telecamere questo ufficio non può collocare fisicamente Scapusi sulla scena criminis». Non bastarono evidentemente le testimonianze degli amici e dei vicini di Clara, che confermarono prima la serratura cambiata, poi gli escrementi sull’uscio del negozio della donna, per indurre gli inquirenti ad approfondire gli elementi della segnalazione presentata al commissariato.
Eppure il danneggiamento avvenuto nei confronti del suo negozio avrebbe potuto essere considerato un reato spia di un futuro crimine contro la persona di Clara, alla stessa stregua di qualsiasi altro atto persecutorio, quale lo stalking o addirittura il reato di maltrattamenti. Chissà se la donna non si sia determinata a pagarsi il funerale proprio perché aveva constatato che la sua segnalazione al commissariato non avesse dato adito ad indagini più sviscerate, concludendosi invece in un procedimento contro ignoti.
Evidentemente fidava in questo contributo di ulteriori approfondimenti, oppure non aveva la necessaria determinazione per fornire agli investigatori elementi più circostanziati, così da arrivare a presentare una vera e propria denuncia. Non è dato sapere se avrebbe potuto essere maggiormente supportata dagli inquirenti in questo ulteriore percorso, certo è che Clara ha varcato la soglia di un’agenzia funeraria. Quale sia stata la sua condizione d’animo nel pagarsi il prevedibile funerale non possiamo esserne certi, potremmo solo ipotizzare che fosse rassegnata a morire.
E’ proprio questa rassegnazione che dovrebbe indurre ad interrogarci sulla sconfitta di uno Stato che non sia riuscito a farle anche solo sperare che la violenza di genere non fosse il destino inevitabile per lei e le altre donne che la subiscono. Donne che si sentono strette, oltre che dalla morsa del terrore di non potervi sopravvivere, anche dalla forzata accettazione di una sorte che considerano prestabilita, contro cui non hanno energia alcuna per evitarla. Su questa rassegnazione le istituzioni devono necessariamente intervenire per annullarla ed offrire un’ipotesi di salvezza, con l’aiuto sinergico delle realtà pubbliche e private che operano contro la violenza di genere.
Se solo il danneggiamento del negozio della vittima di femminicidio fosse stato ritenuto dalle forze dell’ordine un reato spia, si sarebbe potuto consentire a Clara di mettersi in salvo. Certamente è solo un’ipotesi ma, anche se tale, non possiamo esimerci dal pensare che questa donna si sia sentita sola ad affrontare quanto stava subendo dal suo ex compagno. Chissà avrà pensato che la violenza che si stava consumando nei suoi confronti fosse un proprio problema personale, come personale è stata la soluzione a cui ha pensato, ossia il pagarsi le spese del dopo morte, perché l’aveva prevista a breve. Non ha perso, però, la sua battaglia Clara, l’ha persa lo Stato, che non è riuscito a rendere palese e fattivo che la violenza contro di lei fosse una questione pubblica di cui farsi carico per aiutare la donna a venirne fuori e a pensare che poteva ancora pensarsi degna di vita.
A conclusione di queste riflessioni, sento doveroso fare una considerazione a carattere personale, per spiegare la ragione per la quale continuo a scrivere Claudia, omettendone il cognome. E’ che ho sentito particolarmente pregnante la sua obbligata scelta di prevedere il proprio fine vita e avverto nettamente il senso di una mia sconfitta personale quel suo varcare la soglia dell’agenzia funeraria. Come ha perso lo Stato nel non supportarla nella sua battaglia contro l’ex compagno, così dovremmo sentirci perdenti anche noi, nessuno escluso. Se solo provassimo ad avvertire questa particolare consapevolezza, probabilmente chiederemmo maggiori e migliori risultati alle istituzioni pubbliche impegnate nel contrasto alla violenza di genere, perché fermamente convinti che può divenire non solo causa di morte per le sue vittime ma anche palese sconfitta per tutta la società.
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