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Il fattore "D"

Il fattore "D"

Neutro&maschio - Quale politica vogliamo? Dalle elezioni americane un esempio da non seguire per l’utilizzo strumentale dalle donne in e per il potere

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2008

Tutte sanno che scriviamo venti giorni prima dell'uscita della rivista, quindi non aspettatevi oroscopi sulle elezioni americane. Parliamo, tuttavia, ancora di questa, che è una delle campagne elettorali più forti per gli interessi in campo (non solo americani) e per l'eccezionalità del momento storico. Le donne sono coinvolte come qualunque cittadino/a politicamente impegnato/a: infatti sono in gioco alcune donne, ma non politiche di donne.
Tuttavia non c'è giornale o tv che non abbia dedicato, almeno una volta, il proprio servizio al "fattore D". Saremmo noi. In veste democratica con Hillary Clinton, repubblicana con Sarah Palin. Hillary non è una mammoletta e ha cercato di vincere sulla sua idea fissa dei diritti sociali, ma Obama non l'ha gradita neppure come vice; Sarah si compiace di essere definita "barracuda" e "pitbull", ama le armi e la famiglia e McCain la usa come carta vincente. Le donne sanno di non essere tutte uguali e tanto meno tutte virtuose: in qualunque ambiente si incontrano individue determinate su scelte politiche precise e pitbull nostrane che praticano lo sgambetto senza guardare in faccia nessuno. Di solito vincono perché assomigliano di più al modello competitivo maschile e gli uomini le riconoscono.
Il "fattore D", così com'è, è solo immagine. Un'immagine che fissa la donna secondo lo sguardo degli uomini, sguardo che riguarda anche le molte donne che adottano passivamente i ruoli tradizionali.
Ha pesato a favore di Obama il consenso della popolazione nera americana che si è sentita finalmente rappresentata. Eppure l'immaginario, almeno quello repubblicano, doveva essersi riconosciuto da gran tempo in Condoleeza Rice, donna e nera, ministra degli esteri così devota a Bush da averlo chiamato "marito". Evidentemente la destra di colore non conosce identificazione con le sue donne: meglio pitbull, inesperta e... bianca.
I democratici, se avessero letto i programmi, si sarebbero accorti che gli stessi neri avrebbero avuto più vantaggi dall'ostinata difesa (messa alla prova già nella prima amministrazione Clinton) dei diritti sociali e della sanità pubblica di Hillary. Gli organizzatori della campagna hanno perseverato nel privilegiare la razza (diciamo piuttosto "il colore" perché la razza non esiste): così ancora una volta gli Usa non avranno una presidente. Solo in caso di vittoria dell'anziano McCain, per qualche sua emergenza, un giorno o l'altro si potrebbe vedere una pitbull alla Casa Bianca.
Continueremo allora a parlare di donne senza distinguere quali donne e quali politiche?
Il governo Berlusconi è pieno di ministre e sottosegretarie: alzi la mano chi si sente non dico rappresentata, ma anche solo gratificata. Non possiamo, dunque, restare ferme alle considerazioni sul riequilibrio della rappresentanza e sulle quote. O ragionare di politica sul solco di scelte così "neutre" da ritrovarci sempre estraniate non solo da valori e proposte con cui vorremmo contribuire a salvare il mondo e possibilmente noi stesse, ma anche da termini di sicurezza per il futuro delle famiglie.
Il neutro non è "ciò che non è nessuno dei due" (che non vuol dire nulla), ma "ciò che non è né uomo né donna". Il neutro è un'astrazione che diventa un espediente di comodo per dare universalità al maschile. La famiglia non è neutra. Le donne dovrebbero essere libere. I bambini non sono illegittimi se non se ne vede il padre. Tuttavia la ministra della giustizia francese, Rachida Dati, che è anche marocchina, è incinta e corre il pericolo di uscire dal dicastero perché non rivela il nome del padre. La campagna elettorale usa il modello Sarah Palin mettendo in primo piano i quattro figli, l'ultimo down e la prima incinta e in procinto di sposare il compagno di scuola: tutte cose belle, figurarsi, non fosse che l'obiettivo politico è la restaurazione del familismo e il sistema della destra. Gli americani vedranno Sarah, finito il lavoro di comprimaria alla Casa bianca, andare a casa a fare una torta: altra cosa bella, che facciamo tutte, ma che non è il fine ultimo delle comuni aspirazioni. Il governo McCain darà alle americane il sacchetto della farina e il barattolo dello zucchero, non la garanzia del lavoro, il servizio sanitario, gli asili e le scuole con il tempo pieno, i consultori.
Ovviamente non abbiamo bacchette magiche per convertire pratiche consolidate, che sono diventate cultura diffusa anche fra le donne. La politica resterà ancora neutra, ma deve assolutamente cambiare il nostro giudizio sulle politiche e sui politici.
Dalle tante volte che mi sono sentita chiedere "ti piace Veltroni?" mi sembra di cogliere nella domanda la premessa dell'antipolitica. Non è necessario che qualcuno "piaccia": contano le idee. Non riesco assolutamente a pensare che Berlusconi o La Russa possano "piacere", comunque, vorrei che le molte donne che votano a destra non si facessero corrompere da chi vende politica come angurie al mercato o fa la faccia feroce contrabbandandola per sicurezza: vedete anche voi che cosa vi viene in tasca.
Veltroni può piacere o non piacere, ma rappresenta un partito nato da un anno (che era in ritardo di anni) alla vigilia di elezioni prevedibilmente dure per un paese moderato come l'Italia, che non ha mai consentito l'alternanza alla sinistra finché non è comparsa la coalizione dell'Ulivo. Sento ripetere lo slogan, utile solo agli avversari, che il PD ha perduto: eppure ha ottenuto il 34%, che è la percentuale - a prescindere dai rimescolamenti interni - che aveva il PCI e che ha avuto l'Ulivo. E si ripete il classico rito della divisione interna che ha già distrutto la sinistra radicale per puro autolesionismo. E questi sono i discorsi neutri che dobbiamo premettere criticamente ai nostri.
Diciamo, dunque, che politica vogliamo per noi, una volta assodato che da sempre non possiamo attenderci grandi cose dai partiti maschi e che sarebbe ora di avere una politica di donne fatta non solo di solidarietà con le "nostre" parlamentari, ma di idee che si concretano in proposte. L'Udi avanza proposte di legge: e le altre donne, le altre associazioni? Bisognerà pur rendersi conto che la distruzione della scuola elementare pubblica scarica bambini sulle braccia della famiglia, espressione neutra che significa "la donna" e la sua possibilità di mantenere una professione, anche solo part-time, fuori casa. Che la sicurezza induce a pensare di prendere le impronte ai bambini rom e svia le menti dall'analisi femminile che indica con chiarezza dove hanno inizio i crimini, per noi e per le immigrate. Che la crisi che avanza non è destinata ad essere miracolata, ma ricadrà, dopo le elezioni Usa, sulle famiglie e sul denaro che verrà loro sottratto con i tagli ai servizi e il pagamento dei fallimenti di banche e pubbliche imprese. Se anche i Comuni ricevessero un sostituto dell'Ici, diminuiranno gli asili nido perché si deve pagare il fallimento dell'Alitalia. Se le pacifiste saranno contente dei tagli al Ministero della Difesa, le precarie nella liberalizzazione delle assunzioni saranno licenziate prima dei precari e continuerà il ricatto delle lettere di dimissioni senza data perchè la legge del centro-sinistra è stata cancellata.
Potrei continuare. Ma credo che basti. A meno che non abbia ragione Altan nella sua vignetta: "non vorrei aver commesso un'imprudenza a nascere donna"....
Pensate al Giappone, un paese che mira allo spasimo all'occidentalizzazione e che mantiene tradizioni altrove impensabili, della cui cultura sappiamo poco, salvo che le donne sono o sottomesse o spregiudicate japangirls. Bene, a sorpresa, nel paese dove i governi cadono a ripetizione, una donna ragionevole si è autocandidata primo ministro. Certo esistono circoli femminili che l'avranno sostenuta, ma quello che conta è l'atto di coraggio simbolico, la rottura.

(28 ottobre 2008)

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