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Il fantasma del gender divora un progetto di contrasto alle discriminazioni di genere

Il fantasma del gender divora un progetto di contrasto alle discriminazioni di genere

Il Consiglio comunale di Pisa boccia un progetto educativo dedicato alla formazione di insegnanti e studenti sulla discriminazione e sulla violenza di genere.

Martedi, 08/11/2022 - Continuano a non placarsi le polemiche innescate dalla decisione del consiglio comunale di Pisa di bocciare il progetto ‘Azioni di parità per la provincia di Pisa’, avvenuta nella seduta dello scorso 25 ottobre. Tale progetto è finalizzato alla prevenzione del bullismo, delle discriminazioni e della violenza di genere e le motivazioni del suo rifiuto risiedono nella considerazione che il diritto di educare al rispetto degli altri, compresa la riflessione sugli stereotipi e la violenza di genere, debba mantenersi a esclusivo appannaggio delle famiglie. In tal senso si è espresso il consigliere comunale Francesco Niccolai (FdI) dopo aver dichiarato che tale azione "viola i principi educativi che spettano solo e soltanto alle famiglie per Costituzione".
Immediatamente dopo siffatta decisione istituzionale dell’ente pisano, l'unico Comune della Provincia a non aderire al progetto regionale, si sono levate voci di protesta da parte di oltre 300 docenti degli Istituti Scolastici Superiori e Istituti Comprensivi di Pisa e Provincia. “Come comunità educante quale siamo, pensiamo che sia un fatto gravissimo, che contribuisce a rendere sempre più vulnerabili la scuola, gli studenti, gli insegnanti e che lede la libertà di insegnamento. In questo modo si attaccano saperi e competenze in tema di rispetto e di cultura della parità, insegnamenti cruciali per intervenire efficacemente in contrasto alla violenza e alla discriminazione: la nostra prima responsabilità educativa nei confronti di studenti e studentesse è curare il loro sviluppo come cittadini e cittadine consapevoli”, così hanno precisato i firmatari di tale comunicato.
Sempre secondo il suindicato consigliere Niccolai 'le azioni tese a contrastare e prevenire la violenza e le discriminazioni di genere e a promuovere le pari opportunità... rappresentano un vero e proprio indottrinamento'. Certo che leggere simili argomentazioni a sostegno della bocciatura del progetto in questione, proprio in prossimità della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sa tanto di posizione preconcetta, probabilmente dettata da mero furore ideologico. Cos’è che lo induce a parlare di “indottrinamento”? Per caso aleggia nelle sue spiegazioni il fantasma del gender, ossia l’irreale tesi per la quale anche il Family day della Toscana ha precisato in un proprio comunicato che “Gli insegnanti avrebbero il compito di 'educare' gli alunni, sin dalla più tenera età, a decidere come vestirsi, come chiamarsi, come orientarsi affettivamente, prescindendo da qualsiasi connotato di tipo biologico. Tutto ciò senza che mamma o papà possano obiettare alcunché perché, appunto, essi potrebbero essere portatori sani di questi “stereotipi”, a prescindere ritenuti nocivi”.
Sembrerebbe che queste veementi prese di posizione si configurino quale un attacco non solo alla libertà d’insegnamento costituzionalmente garantita, ma al concetto stesso di educazione e formazione. Difatti ne uscirebbe gravemente defraudato il ruolo della scuola pubblica, inteso non come finalizzato a trasmettere un’etica “personalizzata”, che risponda ai peculiari valori di ogni famiglia, ma invece un'etica aderente ai principi fondanti dello Stato democratico. Tra di essi non v’è per caso l’impegno a garantire il debellamento delle forme di discriminazione di genere previste dalla nostra carta costituzionale?
Lo Stato conseguentemente ha, certo, il dovere di combattere la correlata violenza attraverso la repressione dei comportamenti conseguenti, ma ha anche il compito di adottare misure preventive perché essi non si ripetano. Niente, difatti, funziona più della cultura per iniziare ad arginare qualsiasi manifestazione di violenza o di discriminazione. A fronte di una crescente domanda di criteri interpretativi della realtà in cui vivono gli adolescenti italiani, gli insegnanti si ritrovano sovente privi di mezzi che oggettivamente consentano di fornire le adeguate risposte, come nel caso degli interventi in grado di modificare una radicata cultura discriminatoria.
Se viene, quindi, predisposta, ad esempio da un ente pubblico quale la Provincia di Pisa, un progetto per venire incontro alle istanze della comunità scolastica, che richiede informazione e formazione sui temi del contrasto alle discriminazioni di ogni genere, perché votare aprioristicamente contro, invocando addirittura la libertà educativa delle famiglie? Verrebbe da chiedersi se il consiglio comunale di Pisa sappia che questo compito di supporto alle istituzioni scolastiche è ancora più obbligato, perché rientra in un piano strategico d’azione, le cui priorità sono state evidenziate dal Consiglio d’Europa.
Anche alcuni genitori e docenti del Liceo Buonarroti hanno sottoscritto una lettera al Comune di Pisa in cui ribadiscono che “Non possiamo inoltre comprendere come un progetto educativo contro la violenza verso le donne venga derubricato a 'indottrinamento'. Siamo convinti che con questo voto contrario alla partecipazione del Comune al progetto sia stata persa una preziosa opportunità di crescita civica e culturale". Un’opportunità di particolare valenza sia per i precipui contenuti formativi sia per l’istituzione che ne è preposta alla realizzazione e divulgazione, visto che la bocciatura del progetto evidenzia la messa in discussione della libertà d’insegnamento. Difatti in tale vicenda non è in gioco né la facoltà dei genitori di formare i figli secondo i propri modelli educativi, né l’imposizione coatta di alcun modello di riferimento sessuale, ma solo ed esclusivamente il ruolo della scuola pubblica italiana, che deve poter rispondere alle sollecitazioni provenienti dalla realtà.
Silenziare il bisogno di conoscenza degli insegnanti e degli studenti italiani sulle discriminazioni come base primordiale della violenza di genere e privarli dei conseguenti strumenti di contrasto sembra poco consono al ruolo ed alle funzioni di un’istituzione pubblica. Occorre invece dare congrue risposte a tale bisogno, senza tentennamenti e condizionamenti, perché i nostri docenti ed adolescenti non debbono essere privati dei conseguenti strumenti di contrasto. Inutile invocare l’inesistente fantasma del gender, evocato per mettere l’un contro l’altra l’istituzione scolastica e quella famigliare. E dire che questo irreale avversario, al quale si appellano gli avversari del progetto in questione, non esiste come attesta l’associazione Italiana di Psicologia (AIP) in un suo documento ufficiale.
Ivi possiamo leggere che “Favorire l'educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l'orientamento sessuale non significa promuovere un'inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell'affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni e mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyber bullismo”. La Rete pisana di Educare alle differenze ha lanciato una petizione, inserita come link esterno a questo articolo, perché il Comune di Pisa ridiscuta e approvi l’adesione al progetto provinciale. Firmiamola e divulghiamola, perché sostenere tale progetto, finanziato con fondi europei e destinato alle Province, è, come recita la petizione, “ un’iniziativa importante per rendere capillare l’azione di promozione delle pari opportunità, ancora più importante perché vincolato all’azione obbligatoria di formazione nelle scuole”.

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