In una mia precedente recensione alla silloge poetica di Giovanni Pistoia dal titolo Sono foresta tra sogni e silenzi, Photocy, 20013 ho sottolineato l’importante presenza del silenzio (già nel titolo) ed il suo positivo significato.
In quest’ultima raccolta, però, (Giovanni Pistoia, Se solo potesse dar voce, Youcanprint, 2014), il silenzio ha un’altra sfaccettatura. E’ il silenzio drammatico di chi non ha voce, di chi non sa più raccontare: Ora che la conchiglia/si è frantumata tra le mani,/non so come raccontarti/la storia del mare (La storia del mare, p. 45). E’, talvolta, il blocco dello scrittore (Non possiamo ridurre al silenzio chi siamo - Alfred Kolleritsch - sono le parole in epigrafe che illuminano il senso della raccolta), Mi verrebbe da gridare ma non grido/tace la parola non ritrovo la voce (…) ( Con rabbia e con dolore, p. 28), fino a culminare in Scorie (p. 3): La parola/giace ormai senza respiro, scoria/disfatta tra i cassonetti della spazzatura.
Da qui l’interrogarsi sulla poesia, sul suo ruolo, sul divario tra parola e realtà: la parola è insufficiente a dire, è limitata, naufraga. E’ incapace a dar voce a cosa? A chi? Agli sconfitti, agli impotenti, agli indifferenti, ai più deboli, ai vinti, agli emarginati, a chi non conta nulla, categorie umane spesso presenti nei libri di Pistoia, amate, alle quali va tutta la sua partecipazione emotiva, la sua pietà.
Questo libro colpisce per il legame strettissimo che emerge tra la parola e l’autore che dichiara di non essere un poeta, ma di scrivere parole: Pistoia ingaggia con la parola un vero corpo a corpo. Le parole – cocci di pelle di carne d’anima inquieta, bellissima definizione - gli sanguinano dentro, gli fanno sputare fango (Non scrivo versi, p. 8). In realtà non dobbiamo fidarci di ciò che afferma: Giovanni Pistoia è poeta a tutti gli effetti (la parola poesia è presente in molti titoli), conosce l’ansia, il dolore (la parola più presente nella silloge), l’angoscia (L’angoscia, p. 10) ma anche la bellezza. Angoscia che ha le caratteristiche dello spleen baudelairiano (Charles Baudelaire, Io sono un cimitero, che la luna/Non ama visitare), del male di vivere, legato al grigiore dell’autunno, al nulla infinito, alle spine, allo strazio impensato, ai contorcimenti del ventre: Ha il sapore/amaro del nulla/della luna senza luce/dell’ansia mal repressa (L’angoscia, p. 10).
La poesia intitolata La compagnia è caratterizzata alla maniera di Baudelaire in Une charogne (La carogna), per esempio, da immagini realistiche e crude: Allontaniamo i vermi/con la punta delle scarpe/e li calpestiamo/come fossero mostri/infestanti disgustosi/forse perché sappiamo/che saranno loro/e non altri/la nostra sicura compagnia/nel tempo che dura/quando allo sguardo altrui/faremo ribrezzo/e dell’oggi non resterà memoria (p. 65). E’ la nausea moderna (Jean-Paul Sartre) che ricorda Moravia (Gli indifferenti) e che nasce dalla malinconia romantica, ma in cui è possibile ritrovare anche tanta bellezza (La carogna, I fiori del male).
La lirica centrale di tutta la raccolta è La bianca poesia (p. 9) in cui la poesia è definita bianca. Può esserlo? Sì, se la si considera sacra. Il bianco è il colore della luce divina. Mentre Maria è stata per lungo tempo associata al blu, Dio è sempre stato percepito come luce…bianca. Gli angeli, suoi messaggeri, sono ugualmente in bianco. Questo simbolismo si è rafforzato con l’istituzione, nel 1854, del dogma dell’Immacolata Concezione (e il bianco diventava il secondo colore della Vergine) (Michel Pastoureau, Dominique Simonnet, Il piccolo libro dei colori, p. 45). La poesia, infatti, conduce in terre sconosciute,/su sentieri divini (…) (La poesia ti ama, p. 15). Ma il significato del colore, da quello che lo lega alla poesia, si amplia e arriva a coinvolgere tutta la raccolta: bianco della vecchiaia e della saggezza, del neonato e del vecchio (le mani bianche di Sordo e cieco, p. 49), i colori congiungono gli estremi. Il bianco dell’età avanzata, quello dei capelli bianchi che incanutiscono, indica la serenità, la pace interiore, la saggezza. Il bianco della morte e del sudario si ricongiunge al bianco dell’innocenza e della culla. Come se il ciclo della vita cominciasse nel bianco, passasse per svariati colori, e si concludesse col bianco. La vita vista come un percorso nei colori, dal bianco al bianco (…) (op. cit. p. 47). Infatti, nella silloge torna continuamente il binomio vita/morte (La morte del poeta, p. 23; Scene di vita, p. 22; Ho visto la morte indignarsi, p. 32; Non c’è più tempo, p. 64; Novembre, p. 68; Non chiedermi, p. 72). Alla poesia il compito di unificare la realtà.
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