Mercoledi, 22/05/2019 - Tempo di bilanci, per l’intramontabile Pedro Almodóvar il regista spagnolo più amato del mondo, che nel prossimo mese di settembre compirà 70 anni. Si rinnova e si trasforma, con la maturità, il suo modo di pensare e di sentire nei confronti della vita, del lavoro, del cinema, dell’amore, ma sempre Almodóvar rimane fedele a se stesso, con una rara capacità di descrivere l’animo umano, il mondo femminile e quello del cinema, toccando oggi le corde del sentimento più che dell’eros, attraverso una sorta di testamento spirituale e professionale personalissimo, dove la memoria, l’amore, la bellezza, la morte e il destino sono sempre presenti.
Nel suo ultimo film, Dolor y Gloria (trailer), presentato in questi giorni al 72° Festival di Cannes e uscito contemporaneamente nelle sale, il vulcanico cineasta fa convergere nella sua opera artistica, come e più del solito, commedia, dramma e metacinema. Attraverso il suo alter ego, Salvador Mallo interpretato da un intenso Antonio Banderas (gli anni passano per tutti!) in parte ipocondriaco, in parte depresso per alcuni reali malanni fisici, demotivato e deciso ad isolarsi da amici, fan e luoghi pubblici, il regista ripercorre - anche grazie all’aiuto di droghe prese saltuariamente che favoriscono i sogni - la propria infanzia povera con il padre e l’amatissima madre, della quale ancora non riesce ad elaborare la perdita, gli studi in seminario dove già s’intravede il talento di Pedro, la relazione con il suo più grande e disperato amore, da adulto, con un uomo che assumeva sostanze stupefacenti (e che reincontrerà casualmente nella ‘sua’ Madrid), la sua carriera di sceneggiatore e regista a tutto tondo, con luci e ombre nelle scelte di attrici e attori, nelle decisioni artistiche, nella certezza che la vita è stata per lui girare film e che, non potesse più farlo per ragioni di salute (“perché essere regista è un lavoro molto fisico”, sottolinea Almodóvar nel film), la sua vita non avrebbe più ragione d’essere.
Sempre circondato dai due personaggi femminili del film, la madre nel ricordo e la sua assistente personale nella realtà cinematografica, Salvador/Pedro esplicita implicitamente che le donne mandano avanti il mondo ed infondono sostegno, coraggio, amore, indicando la strada. Sempre smagliante ed umanissima Penelope Cruz, nel ruolo della madre del regista da giovane, ben riesce ad incarnare quel legame antico alla terra ed alla famiglia la cui nostalgia emerge in ogni film. Anche Cecilia Roth, nel ruolo dell’assistente del regista (truccata in modo tale da sembrare Carmen Maura), mostra il legame di attaccamento, fiducia e necessità, quasi di sorellanza, che l’artista instaura con le persone a lui professionalmente vicine. Sventato il pericolo di un cancro, rispetto alla cui diagnosi aveva temuto a causa di sintomi sospetti, dopo alcuni incontri pacificatori col suo passato ed inseguendo una nuova traccia della sua infanzia, Pedro/Salvador ritroverà le sue energie e ricomincerà a lavorare ad un film sulla propria vita: il cerchio dell’identificazione si chiude.
Grazie ad una magnifica messa in scena - colori densi e brillanti per gli abiti di scena e per la casa museo di Almodóvar piena di quadri ed oggetti di arte contemporanea - ad uno stile registico inconfondibile, che scende fino al cuore dei suoi protagonisti e degli spettatori ma occupa gli spazi circostanti mostrando al tempo stesso la visione d’insieme, e grazie alle prove attoriali di interpreti con cui lavora da anni, il film rimanda un senso generale di pienezza e di ammirata commozione, per il coraggio e l’autenticità con cui il regista si racconta e si mette a nudo: debolezza e grandezza, dolore e gloria, sembra volerci dire l’artista, vanno di pari passo e tutto è in continuo divenire.
“La maggior parte dei ruoli femminili che ho scritto nella mia vita - dice il regista - sono una miscela fatta di mia madre e delle sue vicine di La Mancha mescolate con la Giulietta Masina di La strada e la Shirley MacLaine di Qualcuno verrà e L’appartamento”.
Lascia un Commento