Domenica, 10/02/2019 - Venerdì 8 febbraio, nell’artistica cornice della Biblioteca Classense di Ravenna, l’UDI ha organizzato una conferenza dal titolo “L’alienazione parentale e il furto della madre nel DDL Pillon”.
L’avvocata Sonia Lama ha introdotto le relatrici spiegando perché c’è bisogno di un’iniziativa come questa, perché c’è bisogno di parlare di affido condiviso. Ebbene la risposta è molto triste: perché nonostante siano passati diversi anni dall’invenzione della teoria della sindrome di alienazione parentale, e nonostante sia stata dimostrata la sua infondatezza, l’aria che tira nelle aule giudiziarie e parlamentari permette di dire che alcuni comportamenti vengono letti in coerenza con questa infondata teoria. La bigenitorialità disegnata dal DDL Pillon è ben diversa dalla bigenitorialità che noi donne abbiamo sempre desiderato e chiesto. È necessario chiarire quindi il reale significato e la reale portata dei concetti di cui si sta parlando, per capire qual è lo scenario e lo scopo ultimo che si cela davvero dietro questa politica.
Parla per prima la signora Antonella Penati, Presidente dell’Associazione “Federico nel cuore”. Ma prima di lei parlano i suoi occhi: spenti, vuoti, morti, come quelli di Federico. Federico era suo figlio. Era, perché Federico è stato ucciso barbaramente a soli 8 anni da suo padre, con più di 30 coltellate, nel corso di un obbligato incontro protetto nei locali della Asl, incontro che “era protetto solo dalla pioggia e dal vento e non dalle mani di un assassino”. La mamma di Federico aveva già denunciato più volte il suo ex per violenze, ma lo Stato che era chiamato a proteggere lei e suo figlio l’aveva invece ritenuta iperprotettiva, malevola e alienante, e aveva ritenuto che lei volesse solo allontanare il bambino da suo padre. L’associazione è quindi nata per dare voce ai bambini e alle donne inascoltate, ci dice. Federico è stato ucciso per il pregiudizio che la sua mamma ha subito: era stata vista come una madre che voleva screditare la figura paterna, poco importava che si trattasse già di un padre violento. Adesso il caso di Federico è al vaglio degli organi di giustizia della Comunità europea. Ma neanche la Comunità Europea potrà mai restituirle suo figlio.
Antonella ci ricorda che questa famigerata teoria della PAS, prima di arrivare nei tribunali, è arrivata nelle università e nei luoghi di formazione, quindi i professionisti di oggi sono figli anche di queste inaccettabili teorie. La teoria della PAS fu inventata, senza alcun fondamento, dallo psichiatra Richard Gardner, che, tra le tante aberrazioni, sosteneva che le donne hanno piacere ad essere battute e che la pedofilia non ha in fondo nulla di male. Il suo nome è riportato negli atti relativi alla formazione parlamentare del DDL. Ebbene questo è scandaloso. Per la Costituzione i nostri nonni hanno dato la vita. E ora noi la calpestiamo così? Il DDL Pillon vuole rendere legge la sindrome di alienazione parentale. Cioè vuole rendere legge una teoria priva di ogni fondamento.
Se un bambino esprimerà di non voler frequentare uno dei due genitori, i giudici potranno comunque assegnarglielo, o altrimenti potranno rinchiudere il bambino in centri di rieducazione alla bigenitorialità. Cioè significa sottrarlo alla sua casa, al luogo della sua abituale vita, al luogo dei suoi affetti, per essere inserito in una comunità ai fini della sua rieducazione. Questo è un trauma esistenziale incalcolabile. Antonella si batte contro la teoria dell’alienazione genitoriale e ora si batte contro questo disegno di legge: “Ho detto in Senato che se passa questo disegno di legge significa avallare un crimine contro l’umanità”. Ci ricorda che nel 2018 ben 17 bambini sono stati uccisi in Italia da un genitore, quasi sempre dal padre. Eppure tutti ci ricordiamo solo di Annamaria Franzoni. Questo disegno di legge non va a proteggere i padri come padri, bensì i padri maltrattanti. Si confonde la violenza con il conflitto familiare che si instaura quasi inevitabilmente al momento della separazione. Questo disegno di legge distrugge il principio fondamentale del supremo interesse del minore: si tutelano solo gli uomini. E si tutelano solo gli uomini violenti.
Dopo Antonella, ascoltiamo Maria Serenella Pignotti, pediatra, docente presso l’Università di Firenze e autrice del libro “I nostri bambini meritano di più”. Ci dice subito che questi sono disegni di legge non emendabili, ma solo ritirabili. Ci spiega che il problema dei tribunali è che cercano di trattare alla pari padri e madri, ma questo non può andar bene nei confronti del bambino se i due genitori non hanno lo stesso peso affettivo per lui; è necessario guardare al caso particolare, non si può prendere per assunto che il ruolo dei genitori è e deve essere sempre uguale. John Bowlby dimostrò che staccare il bambino dalla persona/genitore/genitrice verso cui ha sviluppato l’attaccamento (il genitore accudente) gli causerà inevitabilmente dei problemi psicologici molto gravi: depressione, bassa autostima e una maggiore tendenza al suicidio. In comunità, per quanto possano essere bravi gli educatori, non possiamo pensare che raggiungano lo stesso valore affettivo e di attaccamento che i bambini hanno nei confronti dei familiari che li hanno sempre accuditi: gli operatori fanno i turni, e poi vanno a casa loro. I bambini stanno lì. Che risultato psicologico ne può venire fuori? Proteggere l’infanzia è il vero cambiamento che possiamo fare per la società; dobbiamo crescere bene i cittadini di domani.
Eppure i tribunali che si occupano di diritto di famiglia continuano spesso a minimizzare l’impatto della violenza assistita nei confronti dei bambini, e spesso sono riluttanti a credere alle madri. Arrivano anche a ignorare le sentenze di condanna per violenze. Molti consulenti minimizzano questa violenza e sostengono che comunque un marito maltrattante può essere un buon padre. Ma un marito maltrattante può essere un buon padre? È necessario ascoltare i bambini, e ascoltarli con i loro tempi e con i loro modi. Non si può partire dal presupposto che essi non sono in grado di dire cosa succede, cosa vogliono. Federico ne è il caso più eclatante. Poco prima di morire aveva detto alla sua mamma Antonella che ormai era grande e che avrebbe parlato lui col giudice. Il DDL prevede che l’ascolto del bambino abbia luogo solo se non è in contrasto con l’interesse del minore. E quante volte lo sarà? E l’ascolto deve avvenire in presenza dei genitori. E come si sentirà libero questo bambino? Se è un bambino che subisce soprusi e minacce cosa potrà raccontare al giudice?
La PAS è un disordine mentale che si manifesta solo nelle dispute legali per la custodia dei figli. Solo lì esiste questa patologia, non esiste altrove. Serenella Pignotti conclude dicendo che questo progetto di legge farà male ai bambini, alle madri maltrattate e anche ai padri che sono brave persone, che devono distinguersi da quei padri criminali che cercano di ristabilire l’ordine settecentesco.
Conclude la conferenza l’intervento di Vittoria Tola, da sempre impegnata nell’UDI. Ci ricorda che
la PAS e la bigenitorialità erano previsti nei programmi politici della Lega, e che la loro introduzione nelle nostre leggi è stata accelerata dal senatore Pillon, che – merita di essere ricordato - annunciò di voler promuovere un’interrogazione parlamentare sul perché a scuola si insegni la stregoneria. Il problema è che tutto questo non è altro che la vendetta nei confronti delle donne che hanno deciso di non accettare supinamente la violazione dei propri diritti e dei diritti dei loro figli. Perché in questa prospettiva politica le donne sono viste solo come false, attaccate ai soldi, calunniatrici nei confronti dei mariti. È questa la politica dello Stato contro la violenza di genere? Si continua a dire alle donne di denunciare le violenze. Ma se poi la donna denuncia non le si crede, le si tolgono i figli, accusandola di voler alienare la figura paterna. D’altra parte Vincenzo Spavone, dell’“Associazione genitori separati dai figli”, ripreso ad un convegno dalle telecamere di “Presa Diretta”, ha dichiarato che “Il feticcio più evocato dall’estremismo femminista è la violenza in famiglia, ma solo quella declinata al maschile. Ma nel contesto separativo quasi sempre la violenza ha le chiavi di casa e porta i tacchi a spillo”.
Solo la sentenza penale definitiva può dare ragione alla donna. Ma quando arriva la sentenza penale definiva? E come arriva? Quante sentenze assolvono uomini maltrattanti per insufficienza di prove? E quando arriva la prova della violenza? Solo con la morte della donna. In quel momento le si dà ragione; si dice è vero, subiva violenza. Bisogna morire per avere ragione. E poi neanche sempre, perché il linguaggio mediatico e il commento sociale che racconta il femicidio spesso addossa la colpa sulle spalle della donna stessa.
In esito a queste riflessioni, quindi, è necessario riconoscere che l’intenzione politica è molto più ampia, e non riguarda solo l’affidamento dei figli. Anzi, non riguarda affatto l’affidamento dei figli. Anche il ruolo del papà ha la stessa necessità per il figlio “e noi forse dal ‘68 a oggi il papà l’abbiamo buttato fuori dalla porta” dice il senatore Pillon. Per lui – e per quelli che con lui sostengono questo disegno di legge - la famiglia è solo quella “naturale” composta da un uomo e una donna. L’intenzione nascosta – e neanche troppo bene – è quella di restaurare, l’“ordine naturale delle cose”, che vuole che le donne tornino al silenzio e tornino a casa, a fare figli, a crescerli, liberando così una fetta del mercato del lavoro, e ad accudire gli anziani che lo stato sociale non riesce più a gestire. Si minacciano le donne dicendo loro che se si separano e se denunciano le violenze subite dal marito, perderanno l’affidamento dei figli. Ed è una minaccia che le donne maltrattate già conoscono molto bene, purtroppo. Ora la si vuole far diventare legge.
Altro punto cruciale del DDL Pillon è, infatti, l’obbligo di mediazione per potersi separare. Cioè separarsi non è più un diritto ma richiede una condizione di procedibilità, che rappresenta “un tentativo di evitare la strada giudiziaria”, secondo Pillon. Il divorzio è male, quindi, e bisogna evitarlo. Le convenzioni internazionali espressamente escludono la mediazione nei casi di violenza intrafamiliare. E invece il DDL ignora totalmente questo aspetto. Promuove un nuovo business che fa fiorire i master in mediazione familiare, con migliaia di euro che vengono spesi per formarsi e per aprire centri di mediazione. Sarà un caso che lo stesso Pillon è un mediatore familiare? E che sul suo sito internet pubblicizza che “è in corso di approvazione una modifica al codice civile che conferirà grande rilievo all’attività di mediazione nel corso dei procedimenti per la separazione dei coniugi. In vista di ciò in molti Atenei italiani si stanno realizzando corsi di alta formazione (Master) finalizzati alla creazione del profilo di mediatore familiare”?
Ma a ben pensarci la volontà di rinchiudere nuovamente le donne in casa è palesemente contraria all’idea di un’equa divisione del tempo con i genitori. Se le donne non lavorano e sono a casa, questo implica necessariamente che i figli passeranno più tempo con loro. E allora lo scopo risulta evidentemente proprio questo. Silenziare le donne, rinchiuderle. Non importa niente a nessuno dei figli e del loro benessere. Il problema non sono i figli, il problema è la libertà delle donne! Questa non è la risposta alla crisi dei matrimoni. Questa è la risposta alla rivendicazione dei diritti e delle libertà urlata dalle donne.
Alla fine del ‘700 i francesi ghigliottinavano Olympe de Gouges per aver fatto notare che non esistono solo i diritti degli uomini, ma anche i diritti delle donne. Oggi non si usa più la ghigliottina per dire alle donne che devono rimanere al loro posto. Si usa la legge. Per legge si dice alle donne che devono rimanere in silenzio.
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