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Il diritto dimenticato di fare ricerca senza cavie

Il diritto dimenticato di fare ricerca senza cavie

Parliamo di bioetica - La legge 413 riconosce il diritto dei cittadini a dichiarare la propria obiezione di coscienza a ogni atto connesso con la sperimentazione animale

Battaglia Luisella Lunedi, 10/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010

“Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte”. Le parole di Elsa Morante assumono una inedita valenza in un momento, come quello attuale, che conosce una nuova attenzione nei confronti della sperimentazione animale: un’attenzione che è il risultato, insieme, di una crescente cultura del rispetto nei confronti delle altre specie e dell’aumentata consapevolezza dei problemi etici connessi alla ricerca scientifica. Ne è significativa testimonianza il recentissimo documento del Comitato Nazionale per la Bioetica dedicato a Le metodologie alternative, i comitati etici e l’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale che registra due importanti linee di tendenza su tale tema. Innanzitutto l’orientamento sempre più diffuso ad adottare il cosiddetto ‘modello delle 3 R’ che prevede: 1) la Riduzione del numero degli animali impiegati; 2) il Rimpiazzamento, ove possibile, di animali con altri modelli sperimentali; 3) il Raffinamento delle procedure impiegate. Un modello, vecchio ormai di mezzo secolo, secondo cui l’ammontare delle sofferenze e dei danni causati agli animali concorre a formare il ‘costo etico’ di un esperimento, in rapporto al quale si valutano i meriti scientifici e i potenziali benefici per gli umani.

La seconda linea di tendenza è costituita dal sorgere, all’interno della stessa comunità scientifica, di movimenti organizzati di ricercatori che proclamano la loro opposizione all’impiego di animali nella ricerca e rivendicano tale scelta come un loro preciso diritto (analogo, ad esempio, a quello dei medici obiettori nei confronti dell’aborto). Esiste infatti una legge - 413, 12/10/1993 - che riconosce il diritto dei cittadini che si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi a dichiarare la propria obiezione di coscienza a ogni atto connesso con la sperimentazione animale, obbliga le facoltà universitarie a rendere noto tale diritto predisponendo appositi moduli, sancisce il divieto di discriminazione per i ricercatori, gli studenti e i lavoratori che intendano avvalersi di tale possibilità e richiede l’attivazione di corsi e modalità di insegnamenti di metodologie alternative.

Purtroppo occorre constatare che, a distanza di parecchi anni, la legge è stata sostanzialmente ignorata e in larga parte disattesa e un numero limitato di facoltà ha provveduto tardivamente agli adempimenti richiesti solo in seguito a formali richieste volte ad assicurare la massima pubblicità alla legge. Per questo riveste un grande significato sia l’invio, da parte del CNB, a tutte le facoltà scientifiche degli atenei italiani di un questionario diretto ad accertare l’adempimento degli obblighi previsti sia la raccomandazione - espressa nel documento - che venga data piena attuazione alla legge e che si proceda a un miglior coordinamento a livello internazionale per lo sviluppo e la convalida dei metodi alternativi.

Non si può, in effetti, non rilevare che il fenomeno dell’obiezione di coscienza comporta almeno due conseguenze assai importanti: da un lato la rivendicazione della legittimità etica e della validità scientifica delle metodologie che escludono l’uso degli animali; dall’altro la richiesta esplicita che vengano approntati tutti quegli strumenti (istituti, centri di ricerca, fondazioni) che possano sostenere e incoraggiare tali ricerche. Non è sufficiente, in altri termini, una semplice tolleranza negativa - l’affermazione del diritto del ricercatore a non eseguire esperimenti su animali; ciò che si richiede è piuttosto una tolleranza di segno positivo, l’affermazione appunto del diritto positivo dei ricercatori ad adottare metodologie alternative.

Tolleranza attiva significa, inoltre, la promozione di una politica rispettosa delle scelte etiche e dei valori espressi da una parte cospicua dell’opinione pubblica e che tenga conto del carattere evolutivo dell’etica. In una società liberale dovrebbe essere la gente a decidere quale medicina sostenere e quale ricerca finanziare: due modelli di medicina e di ricerca aumenterebbero il ventaglio delle nostre opzioni. In questa prospettiva, coloro che ritengono che la sperimentazione animale sia una pratica eticamente e scientificamente non giustificabile e non intendono pagare il ‘costo etico’ di un esperimento dovrebbero avere la possibilità di scegliere per la parte che li riguarda una ricerca che escluda l’impiego di animali e che sia riconosciuta e legittimata pubblicamente. Se è proprio del fanatico pretendere che la sua concezione della vita buona diventi il dovere di tutti, è un preciso diritto delle minoranze esigere una medicina e una ricerca rispettose dei valori e delle istanze etiche di cui sono portatrici.



Luisella Battaglia*

 

*Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org



(10 maggio 2010)

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