Confronto Mediterraneo e Trentino in occasione della V edizione di 'Nel cuore del sentiero europeo E5' (Baselga di Piné, 2-4 settembre 2022)
Dopo XXV SCUOLE DI ALTA FORMAZIONE FILOSOFICA in Umbria, in Abbruzzo e nel Trentino ci interroghiamo anche quest’anno su possibili Studi e Ricerche di studiose a confronto.
Come Tutor delegata da Istituto Italiano Studi Filosofici di Napoli non posso che immaginare una continuità con il Progetto messo in campo LA TELA DEL MEDITERRANEO e tutti gli ultimi Convegni con la Nascita di una CARTA DI NAPOLI per i Diritti e i Saperi delle donne nell’area del Mediterraneo ed Euromediterraneo.
Risulta difficile immaginare il Mediterraneo come un tutto coerente senza tener conto delle fratture che lo solcano, dei conflitti di cui è teatro: Israele e Palestina, Libano, Cipro, i Balcani occidentali, la Grecia e la Turchia, l'Algeria, echi, a loro volta, di guerre più lontane, quali quelle in Afganistan o in Iraq. Il Mediterraneo si compone di tanti sottoinsiemi che mettono alla prova o contraddicono le idee unificatrici. Il conflitto non è tuttavia né una fatalità né una predestinazione
L'allargamento spinge l'Unione europea ad interrogarsi simultaneamente sulla propria identità e sul proprio rapporto con il resto del mondo, cominciando proprio da quei paesi e da quelle regioni ai quali la legano rapporti di prossimità. Questa visione trova espressione feconda nella politica di vicinato che individua nell'Unione l'elemento di prossimità destinato ad intessere legami sempre più stretti con la propria "cerchia di amici", pur assumendosi la particolare responsabilità di costituire il polo di stabilità.
Su entrambe le sponde del Mediterraneo, la globalizzazione porta con sé trasformazioni fondamentali. In un contesto in cui, per effetto degli incroci tra popoli e idee (nonché dei flussi di beni e servizi), i quadri e i punti di riferimento classici risultano in costante ridefinizione, il ritmo del cambiamento non consente sempre di individuare quanto èrimasto di immutato all'interno delle diverse "civiltà" teatro di queste trasformazioni.
Perché scegliere la cultura quale vettore del dialogo nell'ambito di un siffatto rapporto?
Non certo come panacea o surrogato delle politiche già esistenti nell'ambito del partenariato euromediterraneo cui si è dato vita a Barcellona. Lo scopo è piuttosto di coinvolgere le società civili in soluzioni miranti a porre fine alle discriminazioni di cui sono oggetto ancora troppo spesso i cittadini europei originariamente immigrati, a far cessare la persistente situazione di ingiustizia, di violenze e di insicurezza in Medio Oriente, e a lanciare programmi educativi che consentano di sostituire le vicendevoli percezioni negative con la conoscenza e la comprensione reciproche.
La storia recente è stata caratterizzata da una successione accelerata di fratture prodottesi con un ritmo all'incirca decennale: nel 1979 la rivoluzione islamica in Iran, nel 1989 il crollo del muro di Berlino e, più recentemente, l'11 settembre 2001, l'attacco terrorista alle torri del World Trade Center. Queste fratture hanno scandito ognuna un periodo dando vita insieme al mondo di incertezze e timori nel quale viviamo oggi. Sintomi, in un primo momento, e poi, a loro volta, cause di mutamenti storici maggiori, queste crisi hanno spazzato via forme abituali, metodi e regole dell'ordine internazionale.
Le guerre dei Balcani hanno rivelato la stessa logica di violenza mimetica che aizza vicini contro vicini e impone l’intervento di terzi per ristabilire la pace. Se, da un canto, è ricorrente evocare i problemi di inserimento delle popolazioni emigrate dal Magreb o dalla Turchia verso l’Europa, è d’altro canto errato dimenticare le difficoltà che queste stesse popolazioni incontrano nel ritrovare segni di appartenenza nei loro paesi di origine, un’esperienza che stravolge il cliché di un’identità originaria inalterata che si oppone ad un contesto di intolleranza nel paese di accoglienza.
Il problema è in realtà quello dell’assestamento, in seno ad una data società, di elementi nuovi che, dal momento del proprio arrivo, concorrono a far cambiare la società stessa partecipando essenzialmente alla sua evoluzione. È fittizio opporre una supposta società immobile ad immigranti che troverebbero le porte sbarrate. In effetti, esiste un rapporto di reciproca metamorfosi tra migrazione e società secondo il quale entrambe si trovano coinvolte, sin dal principio, in una stessa avventura in cui l’apparente difficoltà fa riferimento alle proporzioni e alla durata, dato che in un caso si tratta spesso di singoli destini, mentre nell’altro di impalpabili evoluzioni lente e generali. La migrazione trasforma di fatto tanto le società di arrivo quanto quelle di partenza, si pensi, nel caso di queste ultime, alle rimesse inviate dagli emigrati che superano di gran lunga qualsiasi aiuto allo sviluppo e flusso di investimento combinato.
Il problema del rapporto culturale nello spazio euromediterraneo coinvolge ogni individuo e quindi noi e si pone tanto per i paesi del Sud che per quelli del Nord. Ed è addirittura in questo senso che l’impatto della modernità ha suscitato i cambiamenti più radicali, profondi e sconvolgenti, facendo della trasmissione e della condivisione di cultura (nel senso antropologico del termine) una delle questioni più scottanti delle società in profondo mutamento.
UN DIALOGO INTERCULTURALE DA COSTRUIRE
Il dialogo tra i popoli e le culture: una posta in gioco centrale nel rapporto Euromediterraneo.
Per i popoli del Nord e del Sud del Mediterraneo si tratta, nell'immediato, di far fronte insieme ai cambiamenti internazionali e alle incertezze da cui sono attraversati, non più ognuno per sé e nel rispetto delle reciproche differenze. Nel lungo periodo, è importante sviluppare il sentimento e la percezione di un destino comune. Il dialogo tra i popoli e le culture è quindi chiamato a giocare un ruolo decisivo nella costruzione di uno spazio euromediterraneo "dotato di coesione e di senso". Un tale dialogo dovrà pertanto avere i nostri studi e le nostre ricerche anche con uno sguardo di genere.
Il nostro compito di studiose e studiosi sarà ascoltare l’intensità delle configurazioni storiche e culturali, in cui molteplici elementi sono messi in gioco, non significa aprire una discussione su uno stato co-stante o un’essenza del Mediterraneo. Piuttosto, comporta di insistere su un reso-conto radicalmente diverso del suo spaziotempo; quello che interroga le pretese delle entità geopolitiche stabilite. Qui si evidenzia una comprensione eterotopica che risponde a diverse enfasi e battute. Soffermarsi su una storia che cerca le sue fonti nei ritmi del Mediterraneo non vuol dire cercare un centro segreto che segna la narrazione. Piuttosto, si tratta di registrare un sistema poliritmico che combina, fonda, provoca e promuove l’intonazione multipla e individuale. Non stiamo cer-cando un principio organizzativo ma un processo di disseminazione, non una re-gola concettuale ma un riverbero critico. È quest’ultimo che è potenzialmente in grado di ospitare la diversità dell’inaspettato. Mentre l’altro modo – quello attuale – può solo imporsi rifiutando il disturbo di elementi che interrompono le sue monocorde e le sue tassonomie.
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