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Il desiderio di cambiare

Il desiderio di cambiare

Le mille e una rivolta/2 - Dal 1 al 5 aprile una delegazione di donne e uomini si è recata a Tunisi per incontrare i protagonisti della rivoluzione. Intervista a Raffaella Chiodo Karpinsky

Dalla Negra Cecilia Lunedi, 16/05/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2011

Dal 1 al 5 aprile una delegazione di donne e uomini, esponenti di diverse associazioni e membri della società civile provenienti da tutto il mondo, si è recata a Tunisi per incontrare i protagonisti della rivoluzione. Una visita promossa e organizzata dal Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale e dal Forum Sociale del Maghreb, cui ha preso parte anche una delegazione italiana, partita per portare un messaggio di solidarietà e capire meglio le dinamiche che hanno investito la Tunisia. Tra le partecipanti Raffaella Chiodo Karpinsky, del Dipartimento Internazionale UISP, che ha rappresentato anche la Rete Internazionale delle Donne per la Pace. La incontriamo alla Casa delle Donne, di ritorno a Roma, durante il convegno “Donne che percorrono l'inimmaginabile”.



Con quale intento è partita la delegazione italiana per Tunisi?


Prima di tutto con l'obiettivo di conoscere da vicino la situazione, chi siano e cosa vogliano i protagonisti di questa rivolta senza precedenti. Per comprendere la dinamica che hanno vissuto e per portare un messaggio di solidarietà umana e politica, cercando di costruire un percorso comune dal basso tra la società civile italiana e quella tunisina. E per ribadire che, nonostante le politiche disumane di respingimento del nostro governo, sosteniamo l'accoglienza e la protezione di tutti i migranti che arrivano in Italia attraversando il braccio di mare che ci separa, per provare a costruire una speranza di futuro. Abbiamo deciso di impegnarci sulle richieste che ci sono arrivate dalla società civile tunisina, di avviare una campagna di promozione per scambi culturali tra i nostri paesi, e per il rilancio di un turismo solidale e responsabile. La Tunisia ne ha bisogno, e credo anche noi. È stata una grande opportunità di conoscenza.



Qual è la situazione che avete trovato al vostro arrivo?

Abbiamo trovato un paese che ha vissuto un cambiamento inimmaginabile fino a poche settimane fa, ma che vive una fase di transizione delicatissima, difficile e molto complessa. Sono diverse tra loro anche le esigenze che emergono dalla società civile, che sconta ancora dei deficit di rappresentanza, soprattutto a livello decentrato. I Comitati della rivoluzione stanno cercando di traghettare il paese verso le prossime elezioni ma localmente, di fatto, sono rimaste in piedi tutte le strutture preesistenti: governatorati, polizia, esercito. È questo che la gente vuole davvero veder cambiare, altrimenti si ha l'impressione che ci sia stata la rivolta, il dittatore sia fuggito, ma nella sostanza sia cambiato poco. Lasciare le cose come erano sarebbe inaccettabile per tutti. La priorità per il popolo tunisino in questo momento è quella di vedere i responsabili delle violenze e delle repressioni di un ventennio di regime deposti, sostituiti da personaggi puliti e, soprattutto, sottoposti ad un giusto processo. La gente vuole giustizia, in modo particolare i familiari delle vittime, i genitori di quei giovani che si sono battuti per la libertà sacrificandosi con grande coraggio.



Qual è stato a tuo parere il livello di partecipazione femminile, sia durante la rivolta che in questa fase di transizione?

Nel corso di questi anni le donne in Tunisia hanno maturato un alto livello di consapevolezza dei propri diritti, anche grazie all'approccio laico di Bourguiba, ripreso da Ben Ali che, nonostante la dittatura e la repressione, si vantava di aver dato accesso all'istruzione a tutti, uomini e donne. Ma la consapevolezza ha portato anche ad una maggiore frustrazione, per aver conquistato una formazione senza poterla, di fatto, esercitare. Questo ha fatto si che molte donne istruite, professioniste o semplici studentesse, abbiano espresso il loro bisogno di accedere al futuro. Dall'altra parte ci sono le donne contadine delle aree più semplici e povere del paese, come Sid Bousidi e Kasserine, che in questa rivoluzione si sono battute per stare accanto ai propri figli, coinvolti nelle lotte. E nel clima di questa rivolta si sono riscoperte più consapevoli, quelle che erano semplici lamentele sono diventate rivendicazioni di diritti e costruzione di strategie comuni. È stato quindi un vero e proprio processo destinato a lasciare il segno: quanto profondo e dove porterà ancora non lo sappiamo. Credo che dipenderà molto dal grado di intelligenza di chi si occuperà della transizione. Ciò che è fondamentale adesso è dare al più presto risposta alle richieste pressanti di giustizia della popolazione, che nutre in questa fase un'aspettativa altissima.

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