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Il coraggio di essere minoranza

Il coraggio di essere minoranza

Pacifisti - I "fatti veri” del primo antimilitarismo italiano agli inizi del secolo scorso recuperati da due donne attraverso l’archivio privato. La storia straordinaria di una semplice famiglia sovversiva

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007

Isa Bartalini, cineasta di professione (ha fatto il casting director per quasi quaranta anni) e collezionista di storie famigliari per passione, nel 1996, poco prima di morire, ha fatto in tempo a riordinare parte del preziosissimo archivio della sua famiglia, poi curato e pubblicato dalla di lei figlia Lilia Hartmann, raccontandoci tutta una serie di “fatti veri” - come quelli narrati a lei bambina dalla nonna Ida, al posto delle fiabe – e regalandoci un importante spaccato di storia dell’antimilitarismo e dell’antifascismo italiano.
Il protagonista principale del racconto che si snocciola lungo le pagine del libro di Isa Bartalini, intitolato “I fatti veri” è il padre Ezio (1884 – 1962), e anche una serie di figure femminili, famigliari e no, presentate in tutta lo loro luce di forza ed eccezionalità in tempi abbastanza oscuri per le donne.
Tra queste nonna Ida, meno operosa politicamente ma la più attiva nel tutelare e tramandare il patrimonio culturale e i valori di una famiglia di grandi ideali, considerati “sovversivi” per la durata della sua intera vita. E poi la “straordinaria” Fanny dal Ry - “donna intelligente, indipendente e colta aveva messo in pratica in prima persona le idee del femminismo, battendosi alla pari nei campi della politica, generalmente considerati riserva maschile” - protagonista, accanto ad Ezio, del periodico genovese “La Pace”, “strumento di base di un’epica lotta che durerà 12 anni”, dal 1903 al 1915, e che avrà diffusione abbastanza ampia (4000 copie iniziali!) non solo in Italia ma anche all’estero: “Svizzera, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada, Argentina, dovunque si trovano i nostri emigrati”.
Sulla vicenda di questo “periodico quindicinale antimilitarista” proibito e sequestrato più volte per via dell’esplicito antimilitarismo, vale la pena soffermarsi. Nonostante il linguaggio propagandistico e retorico tipico del tempo, “La Pace” si distingue dalle altre riviste dell’epoca per il contenuto della “epica lotta che conduce”. Ezio Bartalini e Fanny dal Ry non condividendo la posizione della maggioranza del Partito socialista secondo cui l’eliminazione del capitalismo doveva precedere qualsiasi altro cambiamento, si impegnano fin da subito “a spiegare la maggior possibile attività nella propaganda antimilitarista” persuasi che “il militarismo, le alleanze militari, gli armamenti e la guerra, perpetuino una situazione di sfruttamento, di servaggio, di divisione e di tragico sacrificio del proletariato e che l’esercito sia lo strumento essenziale di questo strapotere capitalistico” (pag. 51).
In un contesto in cui era già sovversivo esortare i militari a rifiutarsi di venire usati come strumenti di repressione contro le manifestazioni operaie o denunciare i maltrattamenti subiti dai soldati di leva, “La Pace” si distingue dalla maggioranza progressista del tempo per il suo opporsi a “quella concezione di patriottismo, che fa della patria un mito astratto, al quale il popolo si deve sacrificare per la salvaguardia o l’affermazione degli interessi di una minoranza privilegiata. La guerra contrappone i popoli e li accomuna nel sacrificio, mentre l’internazionalismo unisce le patrie per la costruzione della giustizia, della libertà, del benessere nella pace” (pag. 85).
L’impegno politico pacifista di Ezio e Fanny, uniti da “libero amore” (considerato una forma elevata di convivere civile), non si limita all’enunciazione di buoni propositi nelle pagine del giornale da loro redatto, ma si compie nel mischiarsi tra la gente a parlare con ogni persona, entrando anche nelle caserme e nelle industrie: convinti come sono che “l’obiettivo essenziale” sia “conquistare le coscienze… penetrare prima di tutto nel cuore, nella, mente, nell’anima del popolo” e non solo provocare delle discussioni parlamentari, pur importanti, sulle questioni concernenti la riduzione delle spese militari o il miglioramento delle condizioni di vita dei soldati nelle caserme. E ancora non erano tempi in cui l’abolizione dell’obbligo di leva o la conversione delle industrie belliche potessero essere temi all’ordine del giorno in parlamento.
Il loro anelito pedagogico è riscontrabile anche dal fatto che, accanto al totalizzante impegno politico che li vede subire molte incriminazioni e una costante vigilanza poliziesca, i due “pionieri” dell’antimilitarismo italiano sentivano di essere soprattutto degli educatori. Fanny dal Ry oltre ad esercitare il mestiere di maestra comunale si interessava con passione ai problemi della pedagogia moderna. Ed Ezio, dopo avere esercitato per alcuni anni la professione di avvocato, occupandosi quasi esclusivamente di cause politiche (tra cui il memorabile processo, alla Corte d’Assise di Genova, nel febbraio del 1922, contro Ezio Taddei e trentadue altri anarchici) si dedicherà al mestiere di insegnante, avendo preso anche le lauree in filosofia e in lettere. Quest’ultima gli sarebbe stata molto utile negli anni del lungo esilio.
Ma non vorrei arrivare agli anni della dittatura fascista e all’epilogo dei ventidue anni di esilio (dalle cui intense lettere viene fuori una grande anima attenta alle questioni politiche come alle vicende della propria famiglia e dei propri affetti) tra Parigi, Londra, Bruxelles e diciotto anni in Turchia, senza soffermarmi su un punto che mi è sembrato essenziale della storia di vita raccontata da Isa Bartalini: il coraggio di restare minoranza. La capacità di non perdere i propri riferimenti ideali di partenza di fronte ad eventi nuovi e “urgenti”, che facciano apparire giuste e indiscutibili le ragioni dell’intervento militare. Il fatto di permettersi di continuare a pensare mantenendo “autonomia e chiarezza d’idee”, nonostante la “verità” e la “ragione” sembrano essere definitivamente in mano alla maggioranza. La forza di affrontare la complessità dell’evento che sta accadendo senza rifugiarsi in semplicistiche spiegazioni o rigide prese di posizione.
“La Pace” nei dieci mesi dallo scoppio del conflitto in Europa all’intervento italiano del maggio 1915, intensifica la propria attività, moltiplicando articoli, appelli, denunce, vignette dei massimi caricaturisti dell’epoca, pubblicando e diffondendo decine di migliaia di copie della rivista e di numeri speciali in opposizione all’intervento in guerra dell’Italia.
Già dall’ottobre 1914 trapela chiaramente la consapevolezza di essere rimasti soli a non condividere la soluzione interventista (che attira i molti socialisti legati ad un’idea obsoleta di patriottismo) e a volere continuare a “fare il lavoro silenzioso e paziente della formica”. I redattori della prima voce antimilitarista in Italia, che “ebbe persecuzioni, processi, sequestri, che resteranno memorabili nella storia delle persecuzioni contro la libertà di pensiero” non si rassegnano fino all’ultimo, quantomeno “per non portare nei nostri cuori il rimorso di non avere tutto tentato”, di fronte allo sviluppo della ragione della guerra sostenuta da “una propaganda scatenata, finanziata dai centri economici italiani e stranieri, affiancata dal cedimento progressivo dei giornalisti, dei politici, degli intellettuali. Bartalini perde molti compagni per strada, convertiti all’irredentismo nazionalista” (pag. 108). Ma con estrema lucidità persevera.
Sarebbe potuto morire in carcere come il suo amico Antonio Gramsci (conosciuto nei primi anni d’esilio), ma invece gli affetti famigliari lo hanno legato all’esilio. Peccato sia rimasto così isolato e non ascoltato politicamente, perché lui aveva previsto in Mussolini un dittatore.
Con spietata ironia così scrive nelle pagine di “La pace” in data 20 novembre 1914: “La massa che non pensa – ha detto Mussolini in un’intervista – è per la neutralità assoluta, anzi assolutissima. La massa che non pensa? Che roba è questa? Perché mai Mussolini si è accorto soltanto ora che la massa non pensa? Non fu essa ieri, per lui, quella che agisce, nelle ore storiche? Come si fa ad agire senza pensiero? Col pensiero degli altri. … Guai se la massa pensasse! Come potrebbero vivere tanti chiacchieroni in mezzo al popolo? Il popolo deve abbattere i Governi, ma non può fare a meno dei dittatori e Mussolini vuole essere uno di quelli, anzi vuole essere l’unico… Ora ha detto che la massa non pensa, pensando che non pensa come pensa lui.”
Bibliografia:
Isa Bartalini, “I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana”, ESI, Napoli 1996
Ruggero Giacobini, Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento, Franco Angeli, Milano 1990
(22 maggio 2007)

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