Lunedi, 15/10/2012 - I sessantenni di oggi andavano alle elementari quando si apriva - e si chiudeva - il Concilio. Ciò significa che la pubblica opinione interpreta il Vaticano II come uno dei tanti Concili della Chiesa cattolica e non si accorge dell'interpretazione neoconservatrice che viene applicata secondo vecchi schemi clericali più propri del Vaticano I, se non addirittura di quello di Trento.
Sulle donne, in particolare, la Chiesa sembra ignorare quasi tutto, a partire dalla loro richiesta di pari dignità. Il Coordinamento delle teologhe italiane ha tenuto in questi giorni a ribadire, con un convegno internazionale (“Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro”) l'esigenza di una diversa assunzione di responsabilità nel momento attuale.
Tanto per chiarire sia il contesto sia gli intendimenti, in un'intervista la teologa presidente del CTI Marinella Perroni dichiarava: "La Chiesa deve certamente fare i conti con le donne, ma non si tratta solo di una questione cattolica. Il problema è realmente culturale: il nostro Paese è strutturalmente ostile alle donne e, in questo ambito, mi sento di affermare che noi siamo culturalmente indietro rispetto a molte altre democrazie. Mi vengono i brividi quando sento parlare di 'teologia al femminile' o di 'approccio al femminile', perché nell'immaginario collettivo questo significa femminilizzare i problemi, ossia addolcire le asperità maschili. Sono invece fermamente convinta che, per far avanzare sia la Chiesa sia l'Italia, ci sia urgente bisogno di una democrazia paritaria, la quale va ben al di là di una semplice parità o uguaglianza di diritti".
Con il Concilio Vaticano II - oggi, nonostante le rievocazioni, di fatto contraddetto da un Vaticano che ritiene che sia un disvalore che sia stato "pastorale" e non "dogmatico" - per i problemi delle donne e delle relazioni ha detto parole nuove di serio interesse anche per i laici, che spesso subiscono immaginari e stereotipi arcaici dei fatti religiosi. La volontà di dare senso alla fede per i contemporanei indusse Giovanni XXIII a indicare come "segni dei tempi" l'ascesa delle classi lavoratrici, la volontà di liberazione dei popoli oppressi e "l'ingresso della donna nella vita pubblica... Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica". E tutti ignorano che il Vaticano II per la prima volta ha posto l'amore come principio fondante del matrimonio, tradizionalmente limitato alla procreazione, al mutuo aiuto e - orrore - al remedium concupiscentiae, non a caso contestato dalle donne che fecero parte di una piccola squadra di "uditrici" che seguirono le sessioni conciliari.
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