Poesia/ Elena Petrassi - Il primo libro di Elena Petrassi, poetessa di Milano, coodirettrice della rivista “La Mosca di Milano”, e curatrice della pagina poetica "Il colore della voce" nella rivista “Arte Incontro”
Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2005
Il calvario della rosa è il primo libro di Elena Petrassi, poetessa di Milano, coodirettrice della rivista “La Mosca di Milano”, e curatrice della pagina poetica il colore della voce nella rivista “Arte Incontro”. È il primo libro di una donna d’esperienza della cosa letteraria che nasce attraverso una maturazione lunga e paziente. Un esordio raffinato, una meditata ricerca poetica per usare le parole della postfazione di Giuseppe Pontiggia, che si apprezza come lavoro maturo, degno di imporsi all’attenzione della critica e del pubblico.
Il libro si snoda attraverso due direttrici, due spazi semiotici individuabili nella città, Milano e le sue periferie infinite / strangolate dalle tangenziali, e un’innominata campagna identificabile in un mediterraneo originario, luogo d’infanzia e periodico ritorno estivo. Milano appare attraverso epifanie del quotidiano: la casa, il terrazzo, la cucina; il tavolo che essa contiene è l’oggetto che delimita nel quadrilatero perfetto il paesaggio liscio dell’esistenza, la poesia, l’amore. L’altro polo ideale del libro è costituito dalla campagna. Essa si situa in un Sud geograficamente localizzato in una terra stretta / tra due mari, e identificato da campi bruciati dal sole, ulivi e soprattutto dalla quercia. Essa costituisce nella sua secolarità, l’immutabilità della memoria che non cede il passo al transito, allo spezzato del tempo. Il legno vivo, nel transitare delle stagioni, si fa costruttore e custode del linguaggio, in esso la poesia, si forma e si fa garante di significati. La partenza dal Sud, la fine dell’estate, sono condizioni necessarie alle quali ci si deve piegare; esse segnano la fine dell’infanzia e allo stesso tempo di un ordine delle cose al quale partecipano la natura e il suo trasformarsi.
L’idea d’attraversamento costituisce il perno su cui poggia la bilancia dei luoghi e dei tempi. Il calvario della rosa è un libro caratterizzato dal mutare delle stagioni. È una geometria variabile del sentimento segnata attraverso lo strumento del verso che si fa asciutto, secco fino all’ultima possibilità della parola, senza mai scadere in un minimalismo di maniera, e che investe la realtà della sua potenza evocativa quasi epigrafica. È la lezione di Celan e di De Angelis, due poeti amati dalla Petrassi. Lo spazio e le sue geometrie allora cedono il passo a una luce compatta per esplorare nella memoria delle cose il punto di arrivo e di partenza nel viaggio dello spirito e della poesia.
Da Il calvario della rosa, Moretti&Vitali Editori, Bergamo 2004
LA STESSA RIVA
Siamo rimasti fermi
sulla stessa riva, guardando
direzioni opposte tra la fine
e l’inizio della luce, accecati
intenti, pronti a riconoscere
il calvario della rosa
che fiorirà in novembre.
LA SOGLIA
Avvolti nella luce
del mezzogiorno indugiamo
sulla soglia della cucina.
Fuori, non c’è altro che
la pietra delle cose
l’osso essenziale del sole.
l’oleandro bianco chiama
a irretire le ombre.
Dentro, lo sguardo dimora
Nel fuoco: pomodoro
e cipolle creano il mondo.
Pentole nere di fumo
stanno in silenzio, a contare
i giorni che verranno.
Dove noi saremo, per metà
ombra, per metà brace.
AL TAVOLO DELLA CUCINA
Perché scrivo?
Perché scrivo, lo so.
Ho dita prensili per
afferrare la penna
mucchi di carta da rovesciare
per scrivere sul retro, un
appetito vorace e facili
digestioni. Al tavolo della
cucina so stare per ore
senza un falso movimento.
Ho la pazienza della pietra,
l’ostinazione delle onde.
Soffio parole sulla carta
mentre il vento trascina
le ore, il senso, il momento
sono nella punta delle dita.
Questo inchiostro è l’opposto
l’ombra acquietata, nessuna
luce ne cambia la posizione.
IL TERZO SUONO
Cosa ascolti, se l’aria risuona
di musica brasiliana, del ronzio
del vecchio frigorifero?
Tra questi due suoni, se ne apre
un terzo, una voce che sillaba
l’alfabeto delle tue discordie
lanciato contro la luna mentre
la città intorno, si liscia le strade,
scuote i marciapiedi a giorno.
L’ULTIMO CHIARORE
È buio in tempo diverso
Qui, dove il confine
ricompone le pietre
tra gli ulivi e le querce che
sorreggono il peso del cielo
gravido di buio.
La lingua della notte chiede
ai corpi nudi, esposti di
reclamare l’ultima
esitazione, l’ultimo
chiarore perché tutti
tacciano insieme.
PREPARARSI ALL’ADDIO
Salutate la casa, il pozzo
gli ulivi, mettete delle colline
il profilo in un’altra quiete che
confonderà le querce
alla ciminiere.
Ai treni consegnate i giochi nei
campi, gli stornelli dell’estate
lasciateli all’aia. Della cucina
prendete il fumo che con altro
fumo mescolerete.
All’orecchio non confidate
subito il segreto dell’oleandro,
lasciate che le voci barbare
ne violino la sfera.
Il viaggio inizia con la terra
che non si stacca, non si
Stacca dalle suole
IL POETA SEDUTO
Erano due le bambine,
imboccarono il sentiero
non vollero fermarsi
non si girarono a
nessuna svolta.
Dopo tanti anni
la maggiore ancora
cammina attraverso
la notte, incontro al
poeta seduto
dall’altro lato del
tavolo.
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