Codice Rosso per la violenza di genere? Un pannicello caldo - di Michela Quagliano
Considerazioni sul Codice Rosso in materia di violenza di genere dell'avvocata Michela Quagliano, dell'Ordine degli Avvocati di Torino, Presidente dei Giuristi Democratici - Torino e Avvocata di Snoq?Torino
Domenica, 09/12/2018 - Approvato dal governo il “codice rosso” in materia di violenza di genere.
Il disegno di legge che porta le firme del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e di quello della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, ha ricevuto il via libera dal Consiglio dei ministri e presto approderà in Parlamento per ladefinitiva approvazione.
Va innanzi tutto detto che non si tratta di un intervento legislativo vero e proprio, bensì della riforma di alcuni articoli del codice di procedura penale. Ecco i punti principali del testo.
Sparisce, con una modifica dell’articolo 347 del codice di procedura penale, ogni discrezionalità da parte della polizia giudiziaria che, una volta ricevuta una denuncia da parte di una donna per maltrattamenti, violenza sessuale, atti
persecutori e lesioni aggravate subiti e commessi in contesti familiari o di semplice convivenza, dovrà inviarla subito al magistrato senza valutare se sussistono ragioni di urgenza. Il testo prevede le formule “immediatamente” e
“senza ritardo”, ma non contempla termini processuali.
Viene modificato l’articolo 362 del codice di procedura penale, introducendo l’obbligo per il magistrato al quale è stato assegnato il fascicolo di convocare la vittima per assumere sommarie informazioni sui fatti entro tre giorni dall’avvio del procedimento per tutti i casi di violenza domestica e di genere.
Una deroga è possibile solo se ricorrono “imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della vittima”. Tuttavia, il termine non è perentorio, questo vuol dire che non vi è alcuna conseguenza processuale se, per un qualunque motivo, anche organizzativo dell’Ufficio, tale termine non viene rispettato.
Con un’integrazione all’articolo 370 del codice di procedura penale, si obbliga la polizia giudiziaria a dare priorità allo svolgimento delle indagini delegate dal pubblico ministero in caso di reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, commessi in ambito familiare o di semplice convivenza. L’esito dell’indagine va trasmesso in modo tempestivo al pubblico ministero.
Il disegno di legge introduce infine l’obbligo di formazione - a partire dall’anno successivo all’entrata in vigore della legge - per la polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e la polizia Penitenziaria. Tuttavia, le modalità di tale formazione, oltre ad entrare in vigore nell’anno successivo, sono demandate ad un successivo decreto attuativo.
È stato detto che il provvedimento istituisce una corsia preferenziale per le vittime, una sorta di “codice rosso” simile al triage dei Pronto Soccorso; la ministra Bongiorno ha espresso la sua soddisfazione affermando: “Anche un
giorno può essere determinante per salvare la vita a una donna”; il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e gli altri membri del governo durante la riunione hanno indossato un nastrino rosso, simbolo di vicinanza alle vittime: curioso osservare tale solidarietà da parte di chi saliva su un palco con una bambola gonfiabile che ritraeva le sembianze di una donna che aveva ricoperto una delle massime cariche istituzionali dello Stato.
Tanto rumore per nulla; le modifiche al codice di procedura penale non possono neppure essere considerate un pannicello caldo, che qualcosa è sempre meglio di niente, sono la totale inconsistenza nel merito e nella forma di chi – ancora una volta – preferisce la propaganda alla soluzione.
Vorrei rassicurare la Ministra Bongiorno laddove afferma “Quando una donna si rivolge allo Stato e alle forze di polizia per denunciare la violenza che sta subendo, quella donna deve avere una corsia preferenziale” ricordandole che una corsia preferenziale per le donne vittime di violenza esiste già, lo prevede la legge n. 119 del 15.10.2013 “recante modificazioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto alla violenza di genere”; tra l’altro, quella norma stanziava una cospicua somma da erogarsi annualmente ai centri antiviolenza ed alle case – rifugio e, purtroppo, quei fondi sono stati recentemente e drasticamente ridotti. Sempre la legge n. 119/2013, demanda al Ministro per le Pari Opportunità una relazione annuale sullo stato di utilizzo delle risorse stanziate: è un vero peccato che l’ultima istituzione del Ministero per le Pari Opportunità risalga al 2013, dopo quella data, infatti - l’ultima Ministra fu Josefa Idem – il Ministero è scomparso.
“Dal Governo è stato dato un segnale concreto contro la violenza di genere” ha commentato il capo del governo, “Con questo disegno di legge – ha aggiunto la ministra Bongiorno – qualcuno si accorgerà che le donne non possono essere massacrate in attesa di giudizio”; è difficile pensare che l’assunzione di informazioni da parte delle vittime entro tre giorni, quand’anche esaurisse l’indagine – e così non può essere – determini una velocizzazione dei processi.
Impossibile pensare che l’ascolto della vittima nei tre giorni determini un celere approdo del fascicolo al dibattimento o una pronta conclusione delle indagini.
La formazione settorializzata – degli Avvocati, dei Magistrati, delle Forze dell’Ordine, dei Sanitari – è poca cosa se non è integrata e se non viene effettuata di concerto. Inoltre, almeno nei Tribunali più grandi, già vi sono settori specializzati della Polizia Giudiziaria che si occupano esclusivamente di indagini che riguardano minori o vittime di violenza di genere.
Dunque va tutto bene? No, certamente, ma non è questo il modo di affrontare un problema così grande – dall’inizio dell’anno una donna ogni 72 ore ha perso la vita per mano di uomini violenti -, le Associazioni, gli operatori del settore lo vanno dicendo da anni: il problema è culturale e proprio per questo ha assunto così importanti proporzioni ed è più marcato nei Paesi in cui le pari opportunità continuano ad essere la Cenerentola dei governi; affrontare seriamente il tema significa anche dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul, sostenere – anche economicamente – politiche di genere ed operatori che lavorano sul territorio, concorrere alla diffusione di una cultura di genere e di tutto quanto possa contribuire ad un vero e proprio cambio di sguardo, in una parola, tutto il contrario degli slogan.
Torino 5.12.2018
Avvocata Michela Quagliano - Ordine degli Avvocati di Torino
Lascia un Commento