Ferrara/ ricercatori - "per la nostra società affrontare il problema della precarietà è urgente tanto quanto sanare i conti pubblici"
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
A Ferrara si è costituito nell’autunno del 2004 il coordinamento dei ricercatori precari dell’università, in rappresentanza di 400 persone in prevalenza donne. Il confronto con i colleghi degli altri atenei e centri di ricerca ha permesso di inserirsi come nodo ferrarese nella rete nazionale ricercatori precari (RNRP). Al primo Convegno Nazionale sul Precariato nell’Università e nella Ricerca, organizzato a Ferrara nell’ottobre del 2005, intervennero - per la prima volta insieme - ricercatori precari, professori, sociologi, rettori e politici. Il convegno è stato un momento importante di presa di coscienza della reale situazione dell’Università, riferisce Silvia Sabbioni, referente dei precari, che abbiamo sentito insieme ad Alessandra Molinari, “in quella occasione promuovemmo il primo censimento ufficiale dei ricercatori precari presenti nelle università italiane tramite il Centro Studi della CRUI, i cui risultati inediti sono stati presentati al ministro Mussi”.
Dal censimento risulta che nelle sole università lavorano 40.000 ricercatori precari, a cui si aggiungono i docenti a contratto, i precari degli enti di ricerca e gli specializzandi.
Quali sono le cause che hanno portato alla situazione attuale?
I 60.000 docenti e ricercatori strutturati, gli unici che il Ministro si ostina a contare non sono stati sufficienti a reggere il cambiamento provocato dal massiccio incremento delle iscrizioni (aumentate dell’80% nel periodo 1996-2004) e degli insegnamenti determinato dalla riforma Berlinguer Zecchino (la cosiddetta 3+2). Ancor meno sono sufficienti a collocare ad un buon livello la ricerca italiana nella comunità scientifica internazionale, per rispettare gli impegni assunti in Europa. Con scarsi finanziamenti, mai paragonati a quelli degli altri paesi europei, l’università italiana ha dovuto raddoppiare il personale docente e di ricerca, avvalendosi di studiosi altamente qualificati, che lei stessa aveva provveduto a formare, ma senza mai assumerli stabilmente: i ricercatori precari, appunto.
Silvia e Alessandra, quale risposta dà la finanziaria ai ricercatori precari?
E' impossibile intravedere una risposta per i 40.000 ricercatori precari in questa finanziaria che, se non cambierà, stanzia risorse sufficienti a reclutarne non più di 2000 in tre anni. L’Unione era consapevole della gravità della situazione tanto da prevedere nel suo programma un “… costante flusso d’immissione … di giovani qualificati … tenendo conto della necessità e urgenza di incidere profondamente sull’enorme numero di persone che lavorano nelle università e negli enti di ricerca con forme innumerevoli di precariato”. La finanziaria disattende completamente il programma.
In un momento congiunturale così difficile per l’Italia non pensate che il governo non potesse davvero fare di più?
La debolezza dei provvedimenti per l’università non dipende dalla scarsità delle risorse, ma da un problema di scelte. Si potrebbero ridistribuire risorse già stanziate in nome di una maggiore equità sociale, come ad esempio liberare le risorse immobilizzate dalla casta dei fuori ruolo, recuperare 200 milioni di euro stanziati da Tremonti per l’IIT di Genova senza valutazione e ancora inutilizzati, apportare puntuali modifiche alla legge Moratti che destina risorse alle progressioni di carriera per anzianità consolidando vecchi privilegi che nulla hanno a che fare con il merito. A fronte poi dei 1000 milioni di euro stanziati a favore della ricerca privata il governo non ha trovato risorse per quella pubblica. Dato che i privati hanno un potenziale di ricerca praticamente da inventare, non vincolare gli incentivi all’assunzione a tempo indeterminato di ricercatori relega l’università in un ruolo subalterno di serbatoio di personale qualificato a basso costo. Sono incentivi per la ricerca privata che non combattono la precarietà, ma la favoriscono.
Cosa significa vivere la condizione della precarietà e quali conseguenze avrà sull’intera società?.
Viverla è estenuante. Molte di noi hanno dovuto rinunciare alla seconda maternità, spesso hanno dovuto rimandare la prima alla soglia dei 40 anni. Il lavoro precario trasforma la vita in un percorso costellato di incertezze: impossibile programmare il futuro. L’entusiasmo e l’ottimismo che dovrebbero, in una società sana, caratterizzare le generazioni più giovani ed essere la spinta per tutto il paese si spengono troppo presto. Tocca a questo governo prendere in mano questa “Italia spezzata” sempre più divisa tra chi vive nelle sicurezze e nelle garanzie e chi (e sono sempre di più) vive alla giornata. Per la nostra società affrontare il problema della precarietà è urgente tanto quanto sanare i conti pubblici: la precarietà si paga oggi, poiché impoverisce il paese delle sue risorse migliori e si pagherà domani ad un prezzo incalcolabile per l’intera società.
(18 dicembre 2006)
Lascia un Commento