“Aveva otto anni, era un bambino meraviglioso e come tutti i bambini aveva cassetti pieni di sogni. Adesso di lui e dei suoi sogni non è rimasto più niente e per me la sola cosa giusta da fare è non dimenticarlo”.
Le parole del padre del bambino morto tragicamente ci lasciano un compito: chiederci quanti sogni ogni giorno s’infrangono per ogni bambino non ancora morto nel corpo fisico, ma già massacrato nell’anima. Nessuno sa ancora con certezza chi l’abbia brutalmente assassinato, anche se molti indizi lascierebbero pensare a uno sdoppiamento di personalità della mamma. Sono soltanto ipotesi e a noi donne non piace pensare che una donna, soprattutto una mamma, possa infliggere una tale sorte al proprio bambino. Del mistero del doppio ne è colma la letteratura di ogni disciplina, arte inclusa. Nella vita di tutti i giorni normalmente ci sperimentiamo come personalità unitarie, nel senso che si pensa, si sente e si agisce in base a una coscienza oggettiva, una sorta d’unità psichica. La continuità della consapevolezza di sé si fonda sulla memoria, sul carattere, sul temperamento, sulle abitudini e molto altro. L’unità è però incapace di evoluzione, perché come gli archetipi ci insegnano, solo se qualcosa si divide, si sdoppia l’evoluzione è possibile. Il principio primordiale del doppio nella cultura asiatica è espresso bene dallo Yin e Yang.
Nella nostra cultura, si ha l’impressione che le tendenze alla scissione siano sempre più forti. E’ come se subentrasse una disgregazione tra sentimento, pensiero e volontà. E’ facile anche senza arrivare ad un omicidio, come ad esempio dire qualcosa senza pensarla o senza che i propri sentimenti ne siano toccati o che la volontà non arrivi fino alle azioni coerenti con ciò che si pensa o si sente. Nella politica ciò è evidente. La struttura affettiva dell’uomo di atrofizza sempre di più rispetto alla psudo intellettualizzazione della vita. Nell’ambito psicologico si parla di “frammentazione dell’Io”. Molti disturbi psichici dipendono dal divario che si crea tra la vita di sentimento e di volontà rispetto all’esagerata intellettualizzazione. Ne deriva inevitabilmente un crescente bisogno di compensazioni. Pensiamo al comportamento di alcune figure che lavoravano nei campi di concentramento, irreprensibili nel loro privato, feroci e disumani con i deportati. Eppure in ognuno di noi c’è un potenziale distruttivo che a volte esce allo scoperto senza controllo. Un esempio è riportato nel libro S. Michele di Alex Munthe quando narra le esperienze del suo amico Guy Maupassant, affetto da una forma avanzata di sifilide: “Spesso stava minuti interi davanti allo specchio sopra il camino, guardando fisso il proprio viso come se vedesse un estraneo”. In pratica, chiamò il domestico per far cacciare l’estraneo e solo dopo si accorse che l’estraneo era invece egli stesso!
C.G.Jung approfondisce il problema con il concetto di ombra. L’altro Io, l’immagine riflessa, il nemico in noi, l’Io inferiore…
Jung afferma che l’ombra è quella parte dell’inconscio personale e la descrive come una personalità parziale, autonoma che si contrappone alla vita cosciente e strettamente unita al mondo degli istinti, quindi non riconoscibile. Nel concetto di ombra sono racchiudibili tutte le parti dell’anima non compenetrate dall’Io e quando manca l’Io è assente ogni forma di controllo e di coscienza. Jung scriveva: “…La sua anima dovrebbe essere scandagliata più a fondo perché sarà l’uomo la causa di tutto il male a venire”.
L’ombra è il nostro lato oscuro e il nostro elemento costitutivo, che è bene saper riconoscere per diventarne consapevoli, altrimenti quando gli istinti non vengono dominati possono rendersi autonomi.
E’ ciò che accade quando si uccide una persona cara e con la parte sana si nega quella omicida. Questo tipo di violenza si può agire in diversi modi senza necessariamente arrivare all’omicidio globale di una persona. Esiste anche un omicidio dell’anima e molti genitori non si accorgono di agire la loro parte peggiore tartassando i loro figli fino a minarne la fiducia di base e la loro autostima. “i cassetti pieni di sogni” di cui parla il papà di Loris sono infranti tante volte dalla famiglia e dalla società, in infiniti modi differenti. Non è facile accorgersene e restiamo così sconvolti da un brutale omicidio anche per questa scarsa consapevolezza. Tutti coloro che hanno ucciso hanno cassetti vuoti o distrutti. Sarebbe bene chiederci, per non dimenticare Loris, quel bambino così sensibile, come fare per imparare ad amare rispettando gli altri esseri umani, i loro talenti, la loro libertà e soprattutto il nostro bambino interiore.
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