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Il cartoccio, il racconto di Matilde Tortora

Il cartoccio, il racconto di Matilde Tortora

...Le stesse zie che la domenica avrebbero portato a casa un cartoccio di dolciumi, di cui Lei bimba dai capelli castani era ovviamente ghiotta...

Lunedi, 03/01/2022 -

Il cartoccio, il racconto di Matilde Tortora

Non è lo pseudonimo una forma di cartoccio, un artato stretto luogo soprattutto quando esso è molto breve?

E i Chiù-chiù degli uccelli ma anche il gre-gre delle raganelle nei campi che cosa invece sono “udiva delle rane dei fossati / un lungo interminabile poema”?

Pascoli riteneva che per scrivere poesie si dovessero conoscere tutti, ma proprio tutti i nomi dei fiori e delle piante e i versi degli uccelli e di ogni volatile pure quelli di terra.

Lo pseudonimo è stato adoperato più frequentemente dagli uomini o dalle donne nei vari campi, nei loro vari mestieri espletati e nel corso del tempo?

Lea Maggiulli Bartorelli aveva questo suo nome lungo e articolato come lo abbiamo tutti, Ella però scrisse per diversi anni con lo pseudonimo Zietta Liù sul giornale Il cartoccino dei piccoli. 

Le sue poesie e filastrocche anche mia madre le leggeva.

“Le poesie e le filastrocche di Lea Maggiulli Bartorelli hanno qualcosa in comune pur a distanza di decenni con quelle del grande Gianni Rodari: tutti e due avevano infatti capito che attraverso i loro testi giocosi, scherzosi e allegri potevano comunicare nozioni ai propri alunni e fare loro apprendere più agevolmente anche le regole ortografiche e grammaticali più noiose e difficili” – hanno detto recentemente di Lei.

Che cosa imparava, però, mia madre da bambina quando aspettava l’uscita de Il cartoccino dei piccoli e planava con molte aspettative sul suo nome che era in realtà uno pseudonimo, tanto breve, tanto familiare? Chi di loro bambini non le aveva infatti e non era amato da zie in abbondanza, da zie rassicuranti, un poco accartocciate a loro volta nello svolgere mansioni domestiche ripetitive o anche, alcune di loro, in un perenne nubilato e vocazione di zie?

“Piove. Sotto la gronda un nido è vuoto. / Beve le stanche lacrime del cielo / nel gran giardino un triste albero immoto. / Un bimbo biondo, col ditino in bocca, / guarda dai vetri, silenzioso, assorto. /
Forse pensa alla neve, che, se fiocca / fa tutto bello, rifà tutte nuove / le cose morte. Chissà. Forse! Intanto / in un grigiore desolato, piove” - forse che questa poesia non meritava di portare scritto a piene lettere il nome della sua autrice Lea Maggiulli Bartorelli?

Io sono propensa a credere che perfino il bimbo biondo silenzioso e assorto lo stesse pure lui pensando. E che perfino stesse per avere un moto di stizza, subito tacitato però dall’avere tra le mani una rivista a lui destinata e, vivaddio, d’avere su di essa parole a volte per nulla accartocciate.

“Figlio mio caro, figliolino bello, / che a tavola vuoi questo e non vuoi quello. / Dici che mi vuoi bene? Nossignore. / Non hai proprio un filino di cervello, / non hai davvero un briciolo di cuore!” / Così dice un ranocchio dentro al fosso / al figlio, che l’ascolta, ma non può, / dalla vergogna, diventare rosso!”

E assieme a quel bimbo biondo alla finestra, all’epoca anche mia madre, bimba dai capelli castani, avrebbe voluto, ma non sapeva proprio in che modo poterlo fare, reagire, magari pure solamente avvampare nelle guance, ciò nonostante, da bimba obbediente e brava quale era, continuava dentro al fosso a stare.

A stornarla da lì c’erano pur sempre però le zie che, camminando assieme per strada ad ogni inizio autunno si sarebbero fermate a comprare per Lei un cartoccio di caldarroste, a consegnarglielo caldo e ristoratore tra le mani.

Le stesse zie che la domenica avrebbero portato a casa un cartoccio di dolciumi, di cui Lei bimba dai capelli castani era ovviamente ghiotta, così come lo era già allora delle parole, perfino di quelle un po’ accartocciate, a volte pure mal maritate che Le venivano all’epoca destinate. A lei, cui le parole sembravano tutte avere un fondo tutto d’oro che andava disvelato, a Lei che da grande volle infine divenire, come anche Lea Maggiulli Bartorelli era stata, una bravissima maestra.

 

Immagine: foto di fine anno di tutte le classi della scuola, a sinistra entrambe con un abito uguale a fiori la madre dell’autrice e a lei davanti sua sorella più piccola, presumibilmente anno 1935.


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