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Il cantare sereno del mondo

Il cantare sereno del mondo

Poesia / Mariella Bettarini - le sue parole si muovono “sul doppio binario della riflessione intima e di quella civile, femminista”

Benassi Luca Martedi, 16/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

Mariella Bettarini è nata nel 1942, a Firenze dove vive e lavora. Ha insegnato per venticinque anni nelle scuole elementari. Dagli anni ‘60 collabora a giornali e riviste con scritti di critica letteraria e sui rapporti tra cultura e società. Dal 1998 al 2000 ha curato per il mensile “Poesia” una rassegna dal titolo “Donne e poesia”, in cui ha antologizzato il lavoro poetico di circa cento autrici italiane dal ‘63 al ‘99. Nel 1973 ha fondato (e da allora diretto) il quadrimestrale di poesia “Salvo imprevisti”, che dal 1993 ha preso il nome de “L’area di Broca”, semestrale di letteratura e conoscenza. Dal 1984 cura, con Gabriella Maleti, le Edizioni Gazebo. Ha pubblicato 31 libri di poesia, 8 libri di narrativa e numerosi testi di saggistica in libri collettivi e su rivista. Nel 2008 le Edizioni Gazebo pubblicano “A parole - in immagini (antologia poetica 1963-2007)” un corposo volume che antologizza l’intera opera poetica, ridando al pubblico testi ormai irreperibili, e includendo un’antologia della critica che comprende parte delle tesi di laurea di Maria Amelia e Alessia Orsini sull’opera della poetessa toscana. Mariella Bettarini è senza alcun dubbio una delle figure più importanti del panorama poetico contemporaneo; a leggerla nella sua completezza si rivela per una continuità nel percorso di scrittura, capace di muoversi sul doppio binario della riflessione intima e di quella civile, femminista (ha curato, fra l’altro, la storica antologia “Donne e poesia Poesia femminista italiana”, Savelli, Roma, 1978), a volte con i toni di un’accesa denuncia, stemperando un lirismo pacato con una continua tensione allo sperimentalismo linguistico. Si tratta di una poesia distillata, sempre tesa alla verità, al coraggio del dire, ad essere ‘contro’ nell’unico modo nel quale chi fa arte lo si può essere: con la forza della parola, con il calibro grosso dell’immagine e del suono. Si ha l’impressione di una continua fermentazione, un ribollire di mosto, una res viva e palpitante, che è corpo semantico senza necessariamente essere sul corpo – come forse troppa poesia scritta da donne – che mira allo spirito, sempre attingendo però a una materialità dinamica, inevitabilmente rivolta alla riflessione sul contemporaneo. Bellissime quelle raccolte che si muovono per sequenze, quelle sulle nuvole, sulle presenze vegetali, sulle città, sulla figura della zia, dove ogni testo è dedicato a un anno, ripercorrendo così, insieme alla storia familiare, quella di un’epoca. Ma tutto il libro antologico, alla fine, respira come un poema, rende ragione di una ricerca che non ha buchi o cadute, non si scheggia, ma cresce ruotando intorno all’asse di una propria convinzione. Quale? Se la Betterini è ‘contro’, lo è attraverso una fondamentale dolcezza; la dolcezza d’animo, il valore dell’amicizia, del coraggio fraterno, qualcosa di profondamente vissuto oltre proclami e striscioni, nell’umiltà delle vicende domestiche e letterarie. Ne rendono testimonianza la continua riflessione non solo letteraria, ma antropologica e civile, sul ruolo della poesia e dei poeti, condotta sulle pagine della rivista “L’area di Broca”; l’apertura alle novità, la lettura e la pubblicazione attenta di autori, non solo esordienti, nell’Edizioni il Gazebo; l’infaticabile attività di organizzatrice culturale. Mariella Bettarini è poetessa importante, ed è intellettuale capace di legare la mente al cuore, cosa della quale si sente oggi estremo bisogno.







Anni Sessanta



“La mia persona conta

niente”. Così si aprivano — o riaprivano -

le cateratte bloccate, la sega elettrica

riprendeva a trinciare legno, venivano tolte

le barricate fra lampi violetti e

recrudescenza di inverno

— un quaerere veritatis tra giudizi

temerarii e consigli non richiesti, un riacutizzarsi

di lotta, degradazione e pena

e niente posta per oggi. A insaputa degli altri

avvenivano scissioni dell’atomo, scoppi

nel citoplasma, iniziava il tempo

di una sediziosa cova, la parusia e

la contraffazione, l’incontro fortuito, senza

un futuro prevedibile e la diffusione

di vita, la pagliuzza e la trave

nell’occhio, l’uscita dalla comune a causa di molti

che credono di toccare

la volontà ma non toccano che un morto, una larva

d’uomo uscito dai loro piani e allontanatosi nel folto,

verso il convegno dell’idea

col fatto, mentre la foresta vecchia

va a fuoco.



24 luglio 1968





Dal massacro



Dicono della bomba, tutti

si muovono su un tappeto di vetri

e corpi, urla e un buco

nel pavimento.



Che cosa rispondo se l’orologio

batte di nuovo al cervello?

Che il mondo ha una crisi di nervi, che deve

cambiare idea o morire? Oppure che ho punture

all’orecchio e non sento bene? Al solito,

il discorso porta lontano, io sono intontita

dal colpo, mastico vitamina — ancora

ho punture all’orecchio,

giuro guerra alla guerra, poi

navigo sul mar Morto, in punta di piedi

mi avvicino all’amore

che dorme al buio.







evasive invadenti le domande





evasive invadenti le domande

hanno il passo del gatto

si fanno avanti su di un filo

rimangono a guardare dall’alto

la piazza col lanciatore di coltelli

o uno che mangia il fuoco

circondato da ragazzi

evasive invadenti

le domande sono l’ombra di un lago

un pane per i denti

progressiva perdita di luce e

un maggior tempo di posa

poi

s’infilano nelle pieghe della carne

vengono via coi morti capelli e unghie

mangiate e dita con anelli

e la domanda regale (“mi amerai sempre?”)

fa il suo inutile ingresso

nel monastero dentro il quale

capre bambine brucano questa mia erba

e vige un pastorale silenzio

e una angustiante solennità.







1944




ancora sotto la guerra: febbre

a trentotto — denutrizione — piselli

tonchi

il guardarsi in cagnesco

per il pane

pasta

fatta con farina di zucca

lontano e ancora ignoto

quel quattro agosto

della tedesca ritirata sotto

una grandinata di bombe

dopo

il ritorno a casa:

latte in polvere — uova

cioccolata

le occhiate dolci

di un sudafricano

(“io portare biscotti a sorella malata”)

le risa — le innocenti baldorie

la canzone

malamente suonata al pianoforte









Autoritratto semiserio

(in forma d'acrostico zoologico)




Muso di gatto – sì – fede di cane

Ala di passero – ala di gabbiano

Rosso di lingua – batticuor di cerbiatto

Intrepido cavallo – pascente zebra

Elefante memoria nel suo mallo

Lupo e scoiattolo

Lanosa pecora e più la(g)nosa

Agnella si presenta



Bettarinimariella

E (di sé) ride nello specchio animale:

Taurina tempra (ahimé solo mentale)

Topo e gallina dalle uova bianche – sull’

Aia vispo gallo alla mattina – senza denti

Robusto roditore di granaglie

In acque fonde trota guizzante

Nell'aria sopraffina Bettar

Inimariella e la sua arca cina*





*cina: piccina, in dialetto emiliano



(16 giugno 2009)

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