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Il banco della discordia

Il banco della discordia

Il peggio e il meglio di noi - La scuola: un disastro che cela tanti piccoli/grandi tesori

Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007

Che un figlio torni da scuola con un livido o una sbucciatura, conseguenze di qualche bisticcio infantile o di qualche ruzzolone durante una corsa, è cosa che capita. Ma non è mai capitato che un alunno dovesse ricorrere al Pronto Soccorso per una ferita alla lingua procuratagli dalla forbici della maestra. Eppure questa brutta esperienza è toccata a un bambino delle elementari colpevole di essere troppo vivace e turbolento. Non è, purtroppo, un caso isolato: la cronaca ci racconta ogni giorno che, da qualche parte del nostro Paese, una insegnante ha perso la testa. Ha legato gli scolari ai banchi. Ha tappato loro la bocca con lo scotch, non li ha fatti andare al gabinetto, ha ferito la loro dignità e la loro integrità fisica in modi diversi.
Gli alunni non sono da meno in quanto a violenza, specie quelli delle classi superiori che dovrebbero essere più maturi e responsabili dei bimbetti delle elementari, brillano per la loro inventiva nell’organizzare scherzi e beffe feroci contro chi sta in cattedra e, forti delle loro cognizioni tecniche, mettono il risultato delle beffe su Internet. Spogliarelli di uno o più studenti, palpeggiamenti della giovane professoressa, danze frenetiche fra i banchi, bottiglie o altri oggetti lanciati verso la cattedra, spinelli fumati spudoratamente in aula; molti docenti sono costretti a ricorrere al Pronto Soccorso e a farsi ricucire delle ferite.
In casi simili, nel passato, al di là di misure più repressive, come la sospensione, il sette in condotta o addirittura l’espulsione dei colpevoli, si sarebbero chiamati i genitori quali alleati nell’educazione dei figli e nella correzione dei loro errori. Ma farlo oggi non è consigliabile, anzi potrebbe essere fonte di rischi. Padri e madri più violenti dei figli pare reagiscano con male parole se non con calci e pugni e insensate zuffe: guai a mettere in dubbio la loro qualità di educatori e l’intelligenza dei figli.
Se hanno fatto qualcosa di sbagliato sarà stato per una provocazione, perché l’insegnante è troppo duro, troppo esigente, non capisce i giovani, incapace di stimolare il loro interesse, doveva fare un altro mestiere…
Così, fra professoresse sull’orlo di una crisi di nervi e madri manesche - la scuola è un luogo soprattutto femminile - con messaggi diversi e contrastanti, provenienti dalle cattedre o dalle famiglie, dovrebbero crescere educati e sereni i ragazzi che saranno i cittadini di domani.
Ma entrambi, insegnanti e genitori sono oppressi da troppi mali per poter svolgere con interesse e competenza il loro compito. Precari e mal pagati a volte fino all’età matura, pungolati da una didattica nuova quanto cervellotica, si sentono socialmente sottovalutati: è molto alto il numero di coloro che accusano disturbi del sistema nervoso o turbe psicologiche. Non è un caso che il ministro del lavoro Damiano abbia proposto di inserire l’insegnamento fra i lavori più usuranti.
D’altra parte, anche la famiglia ha i suoi guai. Non ci sono abbastanza soldi per vivere il presente e progettare il futuro, non c’è tempo per occuparsi di ogni cosa, soprattutto di parlare con i figli, ascoltarli. I servizi pubblici, la burocrazia degli uffici, gli orari dei negozi e degli asili complicano la vita. E’ facile che i soli valori che vengono trasmessi siano quelli della sopravvivenza, delle furbizia, della forza muscolare.
Il peggio di noi, come insegnanti e come madri, può essere trasmesso come una malattia genetica se società civile, scuola e famiglia non troveranno un accordo e parleranno lo stesso linguaggio. C’è di buono che questa malattia genetica non è di quelle mortali e si può guarire. Come? Facendo leva sul meglio di noi. Quella maestra che va verso la scuola convinta che il suo, come ci ha detto una giovane appena laureata, sia “ il mestiere più bello del mondo”, quella madre che lascia i piatti da lavare per aiutare il figlio a fare i compiti o per ascoltare quali sono le cose che lo emozionano o lo turbano.
(8 maggio 2007)

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