Giovedi, 06/06/2013 - Una storia già sentita, ma sempre molto dolorosa per un genitore ogni volta che accade, quella di perdere il proprio piccolo così, in modo tragico e inesorabile. Non ci si può accanire, perché quel padre credo sia già morto, in un certo senso, proprio insieme a suo figlio. Perché? Perché più spesso ai padri? Forse perché le donne, per natura, sembrano avere un rapporto più fisico con il proprio figlio, e così è difficile dimenticare qualcosa che ogni mamma ha portato dentro. Finché il bambino è piccolo la simbiosi sembra continuare, sia nel bene sia nel male, come ad esempio nel caso di mamme infanticide-suicide. La dimenticanza così, certamente molto meno grave di un omicidio premeditato, finisce per diventare ancora più pesante perché la tragedia in corso è più subdola, nel senso che la problematica di disagio del genitore è meno evidente. Un genitore che dimentica il figlio non sta bene e su questo si dovrebbe lavorare in senso sociale. L’amore sembra non essere sufficiente come unico fondamento del legame a causa dell’insospettabile ambivalenza, sentimento contrapposto a quello dell’amore, ma coesistente e molto approfondito in ambito psicoanalitico. Difficile allora definire l’amore. L’amore può essere narcisistico, obbligatorio, idealizzato, così può sfuggire alla volontà e al processo decisionale. Però l’amore non dovrebbe che volere il bene dell’amato, ma la debolezza dell’altro, in questo caso, il bambino, può inconsciamente risvegliare quella faccia nascosta dell’amore, che mai nessuno vorrebbe riconoscere, proprio grazie alla nostra cultura cristiana che ci propone di porgere l’altra guancia, celando l’esistenza dell’ambivalenza. L’odio può essere una difesa contro l’amore e può presentarsi in qualsiasi relazione umana. La nascita di un figlio può risvegliare l’infanzia del genitore fino al punto di non potersi assumere, al livello inconscio, il nuovo ruolo genitoriale. La famiglia può essere vissuta dalla stessa società come un’estensione dell’Io delle persone invece che un naturale prolungamento della vita pubblica, e questa difficoltà a inserirci nella continuità della storia ci fa anche perdere il rapporto con il tempo. Oggi ci concentriamo troppo su noi stessi invece di interagire con il mondo circostante, così può crescere un disagio di mancata integrazione, soprattutto all’interno di Sé, fino a questo tipo di dimenticanza che equivale a una forma di scissione dell’Io.
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