Lunedi, 23/01/2017 - Travolti da eventi catastrofici, da quelli climatici, dai crescenti femminicidi, fino ai movimenti rappresentati dallo stendardo dell’odio come facile soluzione, rischiamo di ritrovarci come un popolo anestetizzato, che non reagisce più ai pericoli imminenti. Con il grande movimento – in primis donne- che in USA e non solo si schiera a favore dei diritti in pericolo e negati, non si vedono in Italia masse di studenti sensibilizzati come nel passato. La delusione, il dolore di tanto male dilagante, ha come anestetizzato anche le coscienze giovanili, le prime a riconoscere i segnali di degrado e di pericolo, le prime a schivare la formazione di una falsa coscienza. Si vive prevalentemente di realtà virtuale, di facili egoismi. La ricerca della verità, bandiera dei valori adolescenziali, sembra sostituita da una maschera di appiattimento dei significati, dall’indifferenza. I valori però, prima di essere etici, riguardano l’ambito generale dell’adattamento, ma essendo sempre più in conflitto tra di loro trasformano la realtà in qualcosa di più complesso da comprendere e integrare. Essa, infatti, può apparire pure estranea e ostile, soprattutto quando si è abituati a sentire il proprio mondo interiore di riferimento più rassicurante di tutto ciò che ci aspetta all’esterno. La trasformazione da senso soggettivo in oggettivo del mondo diventa così qualcosa d’inevitabile! Il mondo interiore, usato come uno schema, con un senso domestico, usuale, alla stregua di un vecchio vestito, da un lato ci rassicura ma dall’altro ci ingloba fino a non poter conquistare un punto di vista veramente esterno della realtà, così il senso del proprio mondo diventa il senso del mondo. Nella logica populista e razzista si riscontrano questi meccanismi, come ad esempio una frase di questi giorni citata dal Washington Post: "Dobbiamo proteggerci dallo scempio di Paesi che fanno i nostri prodotti, rubano le nostre aziende, distruggono i nostri posti di lavoro". Il mondo sociale è letto secondo uno sguardo personale e maggiormente comprensibile ma allo stesso tempo contiene aspetti derivanti da un’elaborazione di massa e impersonale, quasi come l’organizzazione del mondo animale che segue la categoria della territorialità. Proprio l’elaborazione impersonale impone poi un certo tipo di norma, che distingua almeno ciò che è ammissibile da ciò che non lo è, come accade ai bambini bisognosi di ricevere divieti, per rassicurarsi sulla solidità della loro struttura ancora in formazione. La semplificazione della realtà corrisponde così alla domesticità del proprio mondo. La parola, inoltre, che ci distingue dal mondo animale, rischia per vari e complessi motivi di schivare il dialogo per un esilio individualistico, così gli statisti sono sostituiti da leader emergenti, capaci di comunicare più con il senso dell’ovvio che con le capacità dialettiche. In un certo senso è come se il mondo oggettivo diventasse ostacolo a quello soggettivo mettendo seriamente in discussione il concetto stesso d’identità.
Parlando di rischio d’identità il Papa afferma: «Per me l’esempio più tipico del populismo, nel senso europeo, è il 33 tedesco». «La Germania distrutta cerca di alzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader che gliela restituisca: c’è un giovane che si chiama Hitler e dice `io posso´. E tutta la Germania vota Hitler». «È stato votato dal suo popolo, e poi lo ha distrutto. Questo è il pericolo». «In tempi di crisi non funziona la ragione», «cerchiamo un salvatore che ci restituisca l’identità e ci difendiamo con i muri».
Papa Francesco parla pure di una «Chiesa anestetizzata… »
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