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Identità plurali

Identità plurali

pro-MEMORIA / 4 - Intervista a Laura Balbo. Già Ministra delle Pari Opportunità, è la sociologa che ha coniato il concetto di ‘doppia presenza’

Ribet Elena Lunedi, 07/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

Perché l’Italia sembra non avere memoria?



Penso che si possa parlare di una ‘manipolazione’, di un ‘uso orientato’ della memoria da parte di chi ha la visibilità (un discorso dunque sui media) o il potere per farlo (la politica): molte analisi hanno messo in luce come la formazione dell’opinione pubblica (e dunque anche della memoria, in parte almeno) sia da leggere in questa chiave. C’è stata in Italia, lo sappiamo, una lunga fase di rimozione per quanto riguarda il periodo fascista e le ‘imprese’ coloniali. E anche avvenimenti del passato sono stati ‘rimossi’ o in vari modi adattati a letture considerate appropriate.



L’instabilità, o meglio il ‘mutevole andamento dei diritti’ come lo ha definito Lydia Morris, non fa crescere una affezione verso la democrazia e ancor meno verso i suoi simboli: il tricolore, l’unità, la Costituzione. Perché questi sono continuamente messi in discussione?



Si tratta di una questione molto dibattuta, in politica come in ambito sociologico. Il problema è stato affrontato, e in certi casi la risposta è stata drastica: si dice che una vera e propria ‘cultura’ dell’italianità non si sia mai realizzata, a differenza di quanto accaduto in altri paesi, diversi per condizioni culturali e sociali. Io considero soprattutto importante chiedersi come far maturare, in una prospettiva rivolta al futuro, un senso di appartenenza o di identità non ‘locale’ e neppure ‘nazionale’: una identità almeno di respiro europeo.



La memoria non è neutrale, ma se lo fosse?



Me lo chiedo a volte, quale sia l’identità in cui mi riconosco. E c’entra la ‘memoria’. Come mi potrei definire oggi? Italiana? Europea? Donna?

Non ho una risposta univoca, ma quello che penso è che sia importante elaborarla, la propria esperienza, lavorare su quello che si considera importante nella propria vita. Non ci viene imposta l’identità (identità al plurale, meglio): ma abbiamo la possibilità di costruircela. Essenziale questa possibilità in una cultura democratica. Dunque in nessun modo neutrali l’elaborazione e la memoria.



Confrontando la generazione di giovani che ha unito l’Italia con la generazione di giovani oggi, sono possibili dei confronti?



Penso che se questa domanda la si ponesse agli e alle giovani, la troverebbero un po’ insensata. Rispetto alla generazione di centocinquanta anni fa c’è un salto enorme sotto tutti gli aspetti: dal fatto di trovarsi nella società globale, di cui le nuove generazioni si rendono conto; ai livelli di istruzione incomparabili rispetto al passato, compreso il fatto di accedere all’informazione con le modalità che conosciamo; e tante altre dimensioni: soprattutto l’essere oggi, i giovani e le giovani, plurali, differenti. Dobbiamo tener conto di tutto questo. È un radicale cambiamento che riguarda non solo l’Italia, ma tutto il mondo.



Le donne sono state largamente dimenticate dalla Storia. Qualcosa è cambiato?



Più che dimenticate, le donne sono state cancellate. Ma qualcosa è cambiato. Se da un lato ci rendiamo conto che c’è ancora molto da fare, dall’altro non possiamo non riconoscere aspetti positivi anche nelle vicende italiane, e soprattutto in contesti mondiali.

Ci sono esempi che vengono da fuori, e che spingono a modificare, in qualche misura almeno, la situazione preesistente: questo meccanismo di ‘eco’ tra varie parti del mondo lo considero molto importante.

E c’è un altro punto. Non dobbiamo essere ingenue.

Ingenue lo intendo così (e lo dico da sociologa): certo che ci sono resistenze a realizzare i cambiamenti che potrebbero essere positivi per la componente femminile della popolazione, come per altre ‘categorie’. Chi ha il potere agisce per mantenerlo (a tutti i costi) e dunque ovvio che cerchi, gli altri, di tenerli fuori. In questo senso siamo state forse ingenue, pensando che la questione della rappresentanza, e altre, si potessero risolvere abbastanza a breve termine.

Dunque, riconoscerli i meccanismi delle resistenze, e impegnarci a sviluppare strategie appropriate. Non che sia facile, in una fase come questa soprattutto.

Non essere ‘ingenue’: è una prospettiva utile per il futuro.



(7 febbraio 2011)

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