Iori Catia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008
Credo che ogni donna quando vive da vicino le contraddizioni e le difficoltà di genere fin da bambina, se solo alimentata da un sano interesse culturale alla questione, non può che rimanerne affascinata e per certi versi quasi inebetita. Stordita cioè dalla paradossale rassegnazione al ruolo subalterno e del tutto passivo che tanta cultura ed educazione perbenista vorrebbero farci respirare. Madri che rinunciano a tutto per amore di un marito, figli investiti dalle proiezioni di legittime ambizioni mai sopite ma per l’appunto represse, padri distanti ed emotivamente assenti, nonne che giocano a fare le ragazze sempre in forma e mal accettano la naturale ruota della vita che le vorrebbe nutrici attente e generose di nipotini bistrattati dal vivere frenetico dei nostri giorni sono solo spunti di riflessione che non possono non scuotere. E poi intorno ai cinquant’anni le scoperte di sempre, la depressione da sindrome del nido vuoto, gli abbandoni o i tradimenti di coniugi alle prese con la sfida di una rinnovata e mal rincorsa giovinezza, la decisione sul senso del proprio esistere. Da qui quella frase da me tanto amata di Simone De Beauvoir “Donne non si nasce, si diventa”. Appunto ci si genera come per autopoiesi esistenziale raccogliendo con pazienza i pezzi della propria vita, cucendoli con l’amore di una ricamatrice e dando valore a tutto ciò che le nostre giornate per quanto buie, silenziose e incomprese possono elargirci. Il dono più grande che ci possiamo fare? Un’identità fedele al nostro più intimo ed autentico nucleo originario che sfugga ai condizionamenti e alle imposizioni della storia.
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