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I saperi e il futuro

I saperi e il futuro

Anno 2011 - Alla ricerca di un’idea 'complessa e affascinante che sappia emozionare ed alimentare il sogno'

Bartolini Tiziana Giovedi, 23/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2011

Spazio da percorrere, territorio da conquistare: eccolo il futuro che arriva. E che sfugge, diventando velocemente passato. Tutto avviene con rapidità, rimanendo in superficie, e sembra che nulla riesca a lasciare traccia nelle nostre esistenze e nelle dinamiche sociali. Il nostro presente è fatto di tanti ‘nulla’, di inconsistenze: parole che valgono nello spazio in cui sono pronunciate, idee subito sorpassate da altre senza che se ne sperimenti la validità e la possibilità di espansione, numeri dell’economia che dicono e disdicono nello stesso dispaccio. È come vivere in un continuo bradisisma che fa smottare, giorno per giorno, tutti gli elementi che compongono le nostre vite. Il risultato è che non riconosciamo più minimi punti di riferimento. Questa mobilità del perimetro nel quale ci muoviamo innesca reazioni diverse: c’è chi si sente impotente e rinuncia ad interagire e c’è chi - all’opposto - corre, lavora, propone o impone. Insomma si agita molto rispondendo ad un insopprimibile impulso al fare, ma avanza a tentoni. La crisi è testimoniata dal fatto che né l’uno né l’altro modo di essere, oggi, sembrano avere senso. Così viviamo in un permanente presente e ci neghiamo il piacere del progetto e percepiamo come inutile l’idea dell’investimento. Non cogliamo nel e del futuro possibilità e potenzialità, non ci crediamo e quindi non ci scommettiamo. Forse (anche) per questo il tasso di natalità delle donne italiane continua a rimanere basso: i figli sono il più impegnativo omaggio al futuro che si possa fare e rappresentano (anche) un gesto di massima generosità e incoscienza. Insieme ad un nuovo essere umano, nelle premesse sconosciuto eppure amato, ci si apre al futuro e all’ignoto accettandone ‘a scatola chiusa’ tutte le incertezze. È l’idea dello stare ‘insieme a’ che prevale rispetto all’opposto: la chiusura, l’egoismo. Dimensione privata e collettiva si mescolano quando si pensa al futuro, ma l’individualismo che ha contrassegnato gli ultimi decenni ha pervaso, anzi inquinato, tutto rendendo difficile districare la matassa. È piuttosto chiaro, però, che il totalitarismo della polverizzazione politica, economica e sociale non ci ha resi migliori, bensì ha accentuato fragilità e solitudini. “Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti”. Così ci descriveva il 44° Rapporto Censis lo scorso dicembre, osservando che in mancanza di “un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori” quello che prevale è una “diffusa e inquietante sregolazione pulsionale”. Come superare comportamenti individuali improntati ad un “egoismo autoreferenziale e narcisistico” ? Il Censis propone: “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”. Desiderare cosa, nell’ambito delle relazioni private o nella dimensione pubblica? Continua a mancare un progetto generale, economico e sociale, un’idea complessa e affascinante che sappia emozionare ed alimentare il sogno. Una prospettiva che conquisti cervelli ed emotività perchè percepita come veramente innovativa, giusta e onesta.

Il futuro lo potremmo conquistare, e farcelo amico come dimensione e come sfida, rinominando in maniera differente la realtà e le relazioni sociali, ridefinendo il modello di convivenza e ripensandone termini e concetti. È in questo ampio e incerto spazio di manovra che il femminile deve prevalere, inteso come visione e come scala di valori e priorità. Se è vero che il presente va trasformato e se è vero che le donne sono le prime vittime delle odierne iniquità sociali, allora sono proprio le donne che possono esprimere una profonda consapevolezza della necessità di un cambiamento radicale. In che modo, non è facile immaginare. Ragionevolmente, ma senza timori, occorrerebbe il coraggio di uscire dagli schemi e sperimentare. A partire dai saperi cumulati, e anche utilizzando il potere. Non quello esercitato nei ‘palazzi’, ma quello derivante dalle competenze e che a partire da queste può coniare linguaggi e trovare inediti equilibri.



(3 gennaio 2011)

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