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I Referendum e La nostra repubblica

I Referendum e La nostra repubblica

Emilia Romagna - Una cultura proprietaria dello Stato e un utilizzo sostanzialmente monarchico delle istituzioni hanno cambiato il modo di intendere la democrazia? Alla politica il compito di dimostrare che è solo una brutta stagione da lasciarci presto

Mori Roberta e Marco Monari Domenica, 05/06/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2011

2 GIUGNO, TRA INDIGNAZIONE ED IMPEGNO DEMOCRATICO

di Marco Monari, Presidente Gruppo PD Regione Emilia-Romagna



Onorare la Festa della Repubblica quest’anno ha un significato particolare. Abbiamo infatti appena celebrato i 150 anni dell’Unità d’Italia, una ricorrenza nella quale la partecipazione popolare è stata altissima, lontana da sterili polemiche sul significato della nostra nazione e da alcune prese di posizione provocatorie, spesso giocate sulla pelle del Paese a fini elettoralistici, costrette stavolta a cedere il passo a giornate nelle quali gli italiani si sono stretti attorno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, vero baluardo della difesa della data del 17 marzo 2011, che qualcuno voleva mettere in dubbio, magari sperando che passasse in sordina. Ragionare sulla natura della nostra Repubblica, difenderne i principi ispiratori e il sistema di regole che si è data, prima fra tutte la Costituzione, affinché non degenerino, è compito di ognuno di noi. Occorre farlo perché quanto conquistato dai nostri amati partigiani il 25 aprile di ormai molti decenni or sono non è stata una vittoria “una volta per tutte”. Al contrario: essa va rinnovata ogni giorno, proprio perché la democrazia è, oltre che il miglior sistema di governo possibile, anche il più delicato, quello che richiede a tutti un supplemento di sforzo, di impegno. E’ un patto che si rinnova fra cittadini, fra generazioni. E’ per questa ragione che non si può non indignarsi quando viene ufficializzata la proposta di rivedere addirittura l’articolo 1 della Costituzione ponendo sostanzialmente il Parlamento al di sopra degli altri poteri dello Stato. Vogliamo davvero che in Italia esista un potere che sia sostanzialmente incontrollabile, illimitato rispetto agli altri? O non ci ricorda, questa architettura, la situazione istituzionale venutasi a creare di fatto in quell’epoca da cui proprio la Resistenza ci ha liberati? La divisione dei poteri, l’indipendenza della magistratura, il ruolo del Presidente della Repubblica non sono problemi legati alla classe politica o inutili disquisizioni tra giuristi. Attengono ogni donna e ogni uomo, il senso profondo del loro essere parte di una comunità che voglia essere davvero giusta. Sapere che il giudice che hai davanti risponde al Governo e dunque alla politica non è un elemento di garanzia per i cittadini. Immaginare che una maggioranza parlamentare non abbia nessun meccanismo di controllo, nessuna forma di limitazione del proprio potere, significa dimenticare che al Governo ci si sta provvisoriamente. Una maggioranza non ha il diritto di compromettere il sistema democratico sul quale si regge il Paese. Non è su questa impostazione personalistica - figlia di una cultura “padronale” e “proprietaria” dello Stato - che è nata la nostra Repubblica, non l’hanno pensata e costruita così, a prezzo di enormi sacrifici, le nostre madri e i nostri padri e sta a tutti ribadirlo tornando allo spirito dei costituenti, impegnandoci a difenderlo e a tramandarlo alle nuove generazioni.

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NUCLEARE, ACQUA E GIUSTIZIA. VOTIAMO SI E RIMETTIAMO AL CENTRO L’INTERESSE DEGLI ITALIANI


di Roberta Mori, consigliera regionale PD



Il 12 e 13 giugno siamo chiamati come cittadini a dare il nostro contributo per il futuro del Paese che vogliamo. E’ stato indetto, infatti, uno degli appuntamenti referendari più controversi della storia repubblicana. Ne sono oggetto la norma che reintroduce il nucleare in Italia dopo poco più di vent’anni dalla sua bocciatura popolare, le norme volute da Tremonti per dare ai privati la gestione dell’acqua e quella del legittimo impedimento che di fatto rende qualcuno superiore alla legge introducendo per Premier e Ministri, se imputati, la “giustificazione” delle loro assenze dalle aule penali. Nel momento in cui scrivo la Corte di Cassazione non ha ancora deciso se la parziale retromarcia del governo in materia di nucleare è da considerarsi sufficiente ad invalidare quel quesito; mettendo, di conseguenza, a serio rischio il raggiungimento del quorum richiesto. Ma il punto vero è un altro.

Che senso diamo oggi in Italia alla parola “democrazia”? Siamo consapevoli del potere che esercitiamo attraverso il voto per eleggere i nostri rappresentanti, così come di quello che possiamo esercitare attraverso gli strumenti di democrazia diretta? Sì e no. Non nascondiamoci la stanchezza profonda e la disaffezione, direi il senso di inutilità, che pervadono l’elettorato in questo periodo nei confronti della politica e delle istituzioni. Non nascondiamoci neppure le colpe di chi ha cariche pubbliche, elettive e politiche, nell’avere o alimentato o anche solo contrastato troppo debolmente questa degenerazione del nostro tessuto democratico. Le istituzioni stanno perdendo la fiducia dei cittadini, una tendenza pericolosa che spetta alla politica invertire, unicamente attraverso una forte e rinnovata assunzione di responsabilità sui problemi autentici del Paese. Il primo fra questi è il lavoro e la ripresa economica, trascurati in modo vergognoso per ben tre anni dall’attuale governo. In cima alla lista vi sono però anche i temi referendari, che richiedono al di là di tutto un’azione incisiva dentro e fuori dal Parlamento. Il nucleare è ora il tema più sentito e “popolare” per la tragedia recente che ha colpito il Giappone: una prova inconfutabile della portata devastante di questa tecnologia, che dipenderà sempre in parte dal “fattore umano” e che non ha risolto il problema della sicurezza, né degli impianti né delle scorie radioattive. Altre ragioni oggettive, legate alle diseconomie del nucleare, ma soprattutto alla crescita necessaria di un’energia sicura e pulita da fonti rinnovabili, evidenziano come le scelte del governo siano dettate da alcune lobby economiche e non certo dall’interesse comune. E’ la stessa logica del provvedimento che privatizza l’acqua, bene primario indisponibile e proprio per questo gestito fino ad ora da aziende a maggioranza pubblica. A chi conviene sottrarre il bene pubblico per eccellenza al controllo delle comunità locali? Chi vigilerà sull’entità delle tariffe o sul fatto che il servizio idrico raggiunga tutti? Qui si vuole barattare diritti fondamentali con una presunta efficienza, ma basterebbe estendere le esperienze positive dell’Emilia-Romagna o della Puglia al resto del Paese per risolvere i problemi. C’è dunque un filo di interessi privati che lega queste scelte, compresa l’ultima su cui siamo chiamati ad esprimerci. Ricordiamola: la legge 51/2010 ha introdotto una presunzione assoluta di “legittimo impedimento” nei confronti dei Ministri e del Presidente del Consiglio, invocabile anche con una mera autocertificazione, consentendo così il rinvio dei processi penali a loro carico. Poiché la Corte ha dichiarato incostituzionale solo l’autocertificazione e l’impossibilità per il giudice di accertare la concomitanza dell’impedimento con l’udienza, resta inalterato il valore giuridico - e soprattutto politico - di una norma che afferma la non uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Ormai non si contano più le leggi fatte e approvate su misura del Premier e dei suoi guai giudiziari e imprenditoriali, in spregio agli interessi pubblici e soggettivi di altri. Un uso sostanzialmente “monarchico” del Parlamento da parte dei governi Berlusconi che va dalla depenalizzazione del falso in bilancio del 2002 ai più recenti tentativi di sottrarlo alla giustizia, tra impunità e prescrizioni brevi.

E’ tempo di ripristinare legalità e bene comune, con un risveglio di partecipazione attiva e l’esercizio democratico dei diritti costituzionali. Quanto a noi eletti e rappresentanti delle opposizioni abbiamo il dovere di guidare un nuovo percorso, di proporre soluzioni praticabili ed eque ai problemi degli italiani, che cancellino persino le tracce e la memoria di questa brutta stagione italiana della politica ad personam.





(REDAZIONALI)

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