“Martinitt” - “piccoli eroi “per forza”, che a causa della loro condizione di ”miserabili” furono reclutati alla guerra”
Cristina Carpinelli Lunedi, 09/05/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2011
Pochi conoscono la storia dei “martinitt” e la loro partecipazione alle epiche Cinque giornate di Milano. Innanzitutto, chi erano costoro? Erano i bambini di Milano, orfani, ospiti dell’oratorio di San Martino (da qui la definizione di “martinitt”: piccoli Martini). Proprio da questo oratorio, i “martinitt” furono reclutati come staffette degli insorti durante gli scontri delle Cinque giornate di Milano. Enrico Cernuschi, imprenditore e finanziere milanese, che partecipò in modo attivo agli atti insurrezionali di Milano del 1848, pensò d’istituire una posta ambulante, destinando al rischioso compito quegli orfanelli. Con lettera del 24 marzo 1848, il Governo provvisorio richiese al direttore dell’orfanotrofio maschile 24 bambini “fra i più intelligenti” da porre a disposizione del Comitato di guerra; richiesta che fu rinnovata anche nei giorni successivi (Governo Provvisorio - 25.3.1848. Alla Direzione dell’Orfanotrofio Maschile: “Fino a nuovo ordine vorrà codesta Direzione far trovare ogni giorno a disposizione del Governo e dei Comitati il solito numero di orfani che possano servire in qualità di messaggeri”. D’ordine. Il Segretario. f. Broglio).
Fu così che questi piccoli uomini, riconosciuti per la loro uniforme costituita di un cappello basso a staio e giubba di panno a coda, passarono da una barricata all’altra, recando gli ordini del Comitato di guerra e le informazioni delle vedette al Quartier generale. Scrisse, in proposito, il cronista Vittorio Ottolini: “Conosciuti per la loro assisa, essi sgattaiolavano in mezzo alla folla e alle barricate colla noncuranza della loro età e furono utilissimi” (“La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849”, Milano, Hoepli, 1887). Quelle giornate li videro, dunque, impegnati sulle fortificazioni, prendendo addirittura parte attiva, negli ultimi due giorni, ai combattimenti, mentre altri attendevano al servizio di ambulanza.
Nel corso dei mesi successivi, ulteriori richieste di “martinitt” vennero inoltrate alla direzione dell’orfanotrofio maschile, il 31 luglio 1848 dal Governo provvisorio di Lombardia, e il 1° agosto dal Comitato di pubblica difesa, ormai alla vigilia dell’armistizio tra Piemonte e Austria e al termine dell’esperienza rivoluzionaria iniziata con le Cinque giornate di Milano. 51 “martinitt” furono concessi l’8 agosto 1848 al Municipio della città “onde servire di guide ai militari che debbano recarsi ai vari negozi per provvedersi di vettovaglie” e per altre mansioni, che svolsero fino alla fine di ottobre.
La prima guerra finì con il rientro degli austriaci a Milano nel mese di agosto. Per i martinitt quella fu, tuttavia, solo una prima prova. Altro impegno e sacrificio spesero nelle successive battaglie per l’indipendenza nazionale. Del resto, chi meglio di questi “figli d’ignoti” poteva essere assoldato all’esercizio militare, dato che a casa non c’era nessuno che li avrebbe potuti piangere? Questa riflessione raramente accompagna la stampa dell’epoca e quella più recente tese ad esaltare gli esempi mirabili di questi piccoli martiri, che “sotto quei goffi panni nascondevano un’energia e un vero cuore di piccoli eroi!”. A ragion veduta, le prodi gesta dei “martinitt” sono da allora rimaste impresse indelebilmente nel cuore di tutti i cittadini milanesi. Tuttavia, il tempo che i “martinitt” dedicavano agli incarichi menzionati era tempo sottratto al loro lavoro nelle botteghe e officine sparse per la città, causando i richiami dei padroni. Veniva soprattutto meno il salario che, secondo il regolamento dell’orfanotrofio, spettava per un quarto all’orfano e per i tre quarti alla cassa dell’istituto. Ecco perché il rettore dell’orfanotrofio si rivolse al Governo provvisorio affinché fosse concesso il rientro degli orfani alle loro abituali occupazioni.
L’impegno dei “martinitt” alla causa insurrezionale non fu solo fuori le mura dell’orfanotrofio. I più piccoli, rimasti in istituto, diedero anche loro alla patria quel poco che potevano: s’imposero (sic!) di rinunciare per tre volte la settimana e per tutta la durata delle campagne risorgimentali, all’unica (si badi bene!) pietanza giornaliera, affinché la corrispondente economia realizzata si versasse al Comitato Milanese di Soccorso, a favore dei feriti in guerra (Ottolini). Dunque, mentre gli alunni raccolti nell’orfanotrofio davano con tanta “spontaneità” quanto nessuno avrebbe pensato e osato chiedere, i più grandi adempivano fino in fondo al loro dovere di soldato. Credo che questa pagina della storia risorgimentale, solitamente narrata in chiave romantica (si veda, ad esempio, il dramma - in tre atti - 1848 di Emilio De Marchi, scrittore milanese, che fu per molti anni consigliere dell’orfanotrofio maschile), dovrebbe, invece, essere ricordata per il sacrificio a cui furono sottoposti questi piccoli eroi “per forza”, che a causa della loro condizione di ”miserabili” furono per un nobile ideale reclutati alla guerra.
Da allora tutte le celebrazioni del 1848 ebbero come protagonisti i “martinitt”. Nel giugno 1885, l’orfanotrofio maschile fu insignito della prestigiosa medaglia commemorativa ai combattenti delle Cinque giornate di Milano, per l’opera prestata dai “martinitt” a vantaggio dell’Indipendenza nazionale. Alla solenne cerimonia, che si tenne al teatro Dal Verme, si recò l’intera comunità degli orfani in tenuta militare, preceduta dalla banda. Dieci anni più tardi la banda dell’istituto e una folta rappresentanza degli orfani vennero chiamati ad aprire il corteo organizzato in occasione dell’inaugurazione del monumento commemorativo delle Cinque giornate. L’orfanotrofio maschile, per altro, aveva partecipato alla raccolta dei fondi per la realizzazione del monumento, organizzando, insieme con l’Istituto dei ciechi, un’accademia vocale strumentale. Avevano aderito alla raccolta dei fondi anche gli allievi tipografi dell’istituto: le prime 100 lire furono depositate su un libretto della Banca popolare, come prima offerta, a nome del Pio Istituto Tipografico.
Una nuova e solenne commemorazione delle Cinque giornate si tenne in occasione del 50° anniversario, con manifestazioni che si svolsero dal 18 al 22 marzo 1898. Anche in questa circostanza ai “martinitt” fu riservato un posto d’onore e una delegazione fu invitata a partecipare al banchetto dei veterani delle guerre del 1848-49. Tra i convenuti figurava anche il generale Fiorenzo Bava Beccaris “che brindò alla salute dei suoi vecchi e buoni compagni d’armi, al Re, alla memoria del generale Garibaldi, ed augurò che le nuove generazioni sappiano ispirarsi a quella concordia che fece l’Italia”. Neppure due mesi più tardi (maggio 1898), le sue truppe, sparando cannonate sulla folla, avrebbero represso brutalmente nel sangue una rivolta popolare scoppiata a Milano, e passata alla storia come la “protesta dello stomaco”, causando la morte di 80 cittadini e di 450 feriti. In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un seggio al Senato.
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