I numeri piccoli delle grandi elettrici regionali del Presidente della Repubblica
Solo 6 grandi elettrici per il prossimo Presidente della Repubblica, su di un totale di 58 designati dai rispettivi consigli regionali, attestano quanto sia incompiuta la democrazia paritaria in Italia
Martedi, 25/01/2022 - Lunedì 24 gennaio in Parlamento, riunito in seduta comune, sono iniziate le operazioni di voto che porteranno all’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica, con una assemblea di votanti composta da 1009 grandi elettori, 630 deputati, 321 senatori (comprensivi dei 6 senatori a vita) e 58 delegati regionali. Ogni Consiglio regionale ha eletto tre delegati, due rappresentanti della maggioranza e un rappresentante della minoranza, di modo che fosse assicurata la sua rappresentanza, ad eccezione della Valle d'Aosta che ha, invece, un solo delegato. Un dato numerico balza immediatamente agli occhi, ove andiamo a verificare il numero delle donne presenti tra questi 58 grandi elettori regionali. Difatti esse sono 6, per la precisione in rappresentanza: dell’Abruzzo Sara Marcozzi (M5S), Campania Annarita Patriarca (Fi), Emilia-Romagna Emma Petitti (Pd), Trentino Alto Adige Sara Ferrari (Pd), Puglia Loredana Capone (Pd) ed Umbria Donatella Tesei (Lega).
Mentre la percentuale delle parlamentari tra Palazzo Madama e Montecitorio si aggira sul 35,7%, le grandi elettrici regionali sono poco più del 10%, a riprova che nel nostro Paese continuano a sussistere diseguali opportunità in tema di democrazia paritaria. Su 20 regioni italiane solo 6 hanno una rappresentanza femminile tra i grandi elettori del Presidente della Repubblica, ossia Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo, Campania, Trentino Alto Adige e Puglia. Come di consuetudine, sono stati votati dai rispettivi Consigli regionali il proprio presidente della Giunta e il presidente della medesima assise regionale, insieme ad un esponente dell’opposizione. Probabilmente il vulnus del problema è che non esista al riguardo una norma che richiami al rispetto dell’art. 51 della Costituzione ed alla normativa statale di suo riferimento, come ad esempio la legge n. 20/2016, di modifica dell'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali.
Vero è che le elezioni regionali del 2020 hanno ancora una volta appalesato come la democrazia paritaria sia un traguardo ancora ben lungi dall’essere conseguito, visto che le consigliere elette sono state in Liguria 3 su 30, Toscana 16 su 40, Veneto 17 su 50, Marche 8 su 30, Campania 8 su 50, Valle d’Aosta 4 su 36 e Puglia 8 su 50. Come altrettanto vero è che per raggiungere tale obiettivo lo Stato è dovuto ricorrere, ad esempio, al decreto-legge Puglia, con il quale il governo ha esercitato il potere sostitutivo nei confronti della Regione Puglia, incapace di adeguare la sua legge elettorale a quanto richiesto dalla legge di principio statale (doppia preferenza di genere), previsto dalla su menzionata legge n. 20/2016. Nel caso in esame occorrerebbe legiferare di conseguenza, ossia prevedere che anche per le votazioni dei grandi elettori regionali si rispetti l’attuale contesto normativo di riferimento costituzionale e statale, consentendo una equa rappresentanza di genere.
Quel numero, 6 su 58, attestante che sono solo 6 le donne designate dai propri Consigli regionali di riferimento quali titolate ad eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, è indubbiamente un numero negativo. Ma proprio quella cifra, certificante una democrazia incompiuta, dovrebbe muovere le forze politiche a perseguire in maniera migliore l'obiettivo della piena integrazione delle donne nei processi decisionali e nella rappresentanza politica e istituzionale. La "democrazia paritaria" deve porsi non più solo come una sfida di genere, ma come un vincolo democratico dell'intera società. Di qui lo slogan di Noi Rete Donne, Se non è paritaria non è democrazia, da intendersi come una sorta di imperativo categorico, a cui conseguentemente improntare il contesto legislativo a qualsiasi livello territoriale.
Diversamente, come ben sostiene la costituzionalista Tania Groppi, “In assenza di uno spontaneo adeguamento delle forze politiche alle norme costituzionali che la sanciscono, non resta purtroppo nient’altro da fare che utilizzare gli strumenti che il diritto ci offre: da qui la necessità di ottenere l’applicazione delle norme vigenti, anche al prezzo di faticose azioni giudiziarie, e di continuare a lavorare per migliorarle, sì da evitare che siano continuamente eluse. Nella consapevolezza che ogni conquista è sempre il prodotto di un attivismo, quell’attivismo al quale i movimenti delle donne sono abituati”.
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