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I numeri delle donne in Europa

I numeri delle donne in Europa

Ricerca Eurostat - Vite e sistemi-paese a confronto con i dati emersi dalle statistiche della Commissione europea

Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2006

Vivono più a lungo, sono più istruite anche se prediligono i percorsi umanistici. Più disoccupate sul fronte del mercato, molto impegnate sul versante domestico. Diventano madri più tardi. Ancora una volta la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e i temi della condivisione del lavoro domestico sono gli ambiti sui quali lavorare per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Su questi temi si moltiplicano le ricerche, ma quali sono i risultati utili per modificare la nostra vita di lavoratrici- madri- figlie?

In occasione dell’8 marzo 2006, Eurostat ci ha regalato alcune significative statistiche che disegnano - nei paesi dell’Europa a 25 - le differenti condizioni tra donne e uomini. In questo articolo intendiamo soffermarci su alcuni di questi dati, per ricollegarli con altre analisi – portate avanti a livello europeo sul tema della conciliazione – e riflettere su come ci vedono i ricercatori e quali spunti ci offrono per sperimentare nel nostro livello locale.

Non tratteremo invece le informazioni relative alle donne manager o ai differenziali salariali, che indicano presenze elevate di donne nei ruoli direzionali (un terzo dei manager è donna, si afferma, il 31,9% per l’Italia, ad esempio) e gender-gap salariali di soli 7 punti.

Tali dati ci lasciano un po’ perplesse, perché si scontrano con una serie di ricerche condotte a livello territoriale che evidenziano, purtroppo, condizioni ben diverse da quanto riportato da Eurostat.

Anche per quanto riguarda la struttura dell’uso del tempo di donne e uomini compresi tra 20 e 74 anni, riteniamo che quanto indicato non legga a pieno le differenze tra donne e uomini nelle diverse età della vita, appiattendo fortemente il dato medio, apportando informazioni molto distanti da quelle rilevate nelle indagini multiscopo ISTAT e nelle ricerche effettuate a livello locale nelle quali ci riconosciamo maggiormente.

Eurostat rileva che le donne vivono mediamente 6 anni in più degli uomini (Tab. 1), ed uno dei risultati di questa maggiore aspettativa di vita è che il 59,3% delle donne hanno età superiore a 65 anni (per l’Italia tale percentuale è del 58,8%; in Lettonia raggiungono il valore più alto di 67,7% , mentre in Grecia e a Cipro quello più basso: 55,3%).

Il tasso di fertilità è 1,50, ma l’età in cui le donne mettono al mondo il primo figlio aumenta di un anno e 5 mesi rispetto al 1994 (Tab. 2). Le primipare più giovani le troviamo in Estonia (24.6 anni), in Lettonia (24.7 anni) e in Lituania (24,8 anni), mentre le più attempate sono nel Regno Unito (29,7 anni) e in Spagna (28,2), in Italia si attesta ai 28,3 anni.

Per quanto riguarda l’istruzione, il 55% degli studenti universitari è di genere femminile.

Tra i 20 ed i 24 anni, ad eccezione della Repubblica Ceca e del Regno Unito nei quali le percentuali sono molto simili per i due generi, sono più le donne che gli uomini ad aver terminato l’educazione superiore. Nell’istruzione universitaria, ad eccezione di Germania e Cipro nei quali non esistono significative differenze tra i generi, la popolazione femminile supera quella maschile, soprattutto nelle repubbliche baltiche. (Tab. 3)

Ma è nella scelta dei percorsi di studio che si registrano le maggiori asimmetrie sia tra i paesi, sia tra i due sessi. A livello dell’Europa a 25, sul versante universitario le donne scelgono prevalentemente indirizzi umanistici, solo il 37,3% sceglie indirizzi scientifici, matematici od informatici. (Tab. 4)

Il mercato del lavoro evidenzia differenze sostanziali nella partecipazione tra i generi: il tasso di occupazione europeo al 2005 per gli uomini raggiunge il 71,2% mentre per le donne si ferma al 56,3% (con differenze sostanziali tra il 70,8% della Danimarca e il 70,5% della Svezia o il 65,8% del Regno Unito e il 45,4% italiano o il 33,6% di Malta, il valore più basso); il tasso di disoccupazione al gennaio 2006 è del 9,6% contro il 7,6% maschile, con punte del 19,1% in Polonia, del 16,6% della Slovacchia, del 10,2 della Germania e il 9,6% per l’Italia. Il miglior valore è quello dell’Irlanda del 3,8%.

Il part time nell’Europa dei 25 è donna: raggiunge il 32,6% per il genere femminile, contro il 7,3% di quello in uso tra i colleghi maschi. E’ largamente utilizzato dalle donne olandesi (75,3%, contro un 22,6% dell’altro sesso), dalle inglesi (43,1%, contro un 10,6% maschile), da quelle tedesche (44,3% contro il 7,7% maschile), dalle belghe (40,7% contro il 7,1% maschile). In Italia il valore raggiunge il 25,7%, evidenziando una forte crescita nel tempo, contro un 4,5% degli uomini, che – qualsiasi sia la latitudine – sembrano meno coinvolti delle loro compagne da questa tipologia contrattuale!

La partecipazione crescente delle donne al mercato del lavoro, la trasformazione dei modelli familiari e la pressione demografica di una popolazione che invecchia indicano nella conciliazione tra vita professionale e familiare un punto centrale dell’agenda europea.

L’età, il numero dei figli, il livello di qualificazione influiscono fortemente sulla reale partecipazione delle donne al lavoro e, come un recente studio dell’Unione Europea evidenzia, i Paesi nei quali si registra un tasso più elevato di occupazione femminile sono quelli in cui sono previsti congedi parentali remunerati e servizi per l’infanzia. Queste condizioni permettono una entrata ed una permanenza a tempo pieno nel lavoro. L’offerta a tempo parziale facilita, in molti casi, l’accessi al lavoro, ma non è detto che tali forme rappresentino sempre ciò che realmente le donne desiderano.

L’indagine della Commissione Europea “Riconciliazione tra lavoro e vita privata: studio comparativo tra 30 paesi europei”, pubblicata nel settembre 2005, ci fornisce una panoramica europea dell’offerta dei servizi, dei congedi parentali, degli interventi delle aziende e degli Stati centrali.

Come spesso succede, non è facile sintetizzare territori ampi come quelli di un Paese e riassumerne le caratteristiche all’interno di un quadro sinottico, e le forti differenze di regolamentazione dei diversi mercati del lavoro recano incongruenze che talvolta ci portano a criticare quanto si legge.

I punti di proposta che emergono, tra le righe di questa indagine, sono:

- incremento dei servizi all’infanzia

- promozione del sistema dei congedi di cura, in cui anche i padri siano coinvolti

- promozione di forme di orario di lavoro flessibile, banche delle ore, orari personalizzati

- armonizzazione degli orari di lavoro, dei servizi, delle città

- sollecitazione delle imprese per favorire la conciliazione di lavoratrici e lavoratori.

Si riconosce alle aziende quattro possibili aree di intervento per favorire la conciliazione.



1) Sul versante della flessibilità del lavoro: attraverso il part time, gli orari flessibili, il telelavoro, la banca delle ore. Vengono anche indicate le forme di job sharing, il lavoro a domicilio e quello a tempo determinato, per le quali però ci sembra appaiano forti rischi di precarizzazione che le donne stanno già toccando con mano in Italia.

2) Sul versante della cura dei figli: con gli asili aziendali (aperti al territorio e in raccordo con i servizi del territorio, potremmo aggiungere), le forme di animazione o campi estivi nei periodi di chiusura delle scuole, aiuti finanziari.

3) Sul versante dei congedi: l’ampliamento anche a quelli per bisogni familiari (cura anziani) e aperti a donne e uomini, forme di interruzione e ripresa della propria carriera professionale a fronte di necessità individuali.

4) Sul fronte domestico e della ricerca del lavoro: consulenza alla gestione del lavoro domestico, couseling per la gestione dei propri tempi di lavoro e di vita, couseling per la ricerca di lavoro in ottica di conciliazione. Le figure professionali per tali consulenze sono tutte da inventare.

Una curiosità emerge dal rapporto: la Francia ha introdotto progetti denominati “i tempi delle città”, misure tese ad armonizzare gli orari di territori definiti, attraverso il coordinamento degli “uffici tempi”.

Ma non li avevamo inventati noi, alla fine degli anni ’90 a Modena?

(13 aprile 2006)

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