Giovedi, 29/08/2013 - Nell'intervista diffusa dalla TV Svizzera Francese, Lucia Riina si dice ''dispiaciuta'' per le vittime del padre, afferma poi ''penso che siamo tutti figli di qualcuno'' e che non bisogna restare nel passato ma andare avanti per noi, per le generazioni future.
Parlando della famiglia, la figlia del boss dice: ''Sono i miei genitori, siamo cattolici e devo amore a mio padre e mia madre'' e ricorda che a casa pregavano tutte le sere e che il momento più brutto della sua vita fu l'arresto di suo padre. ''Nostra madre è stata estremamente importante, poiché non abbiamo potuto andare a scuola. E' lei che ci ha insegnato a leggere e a scrivere'', ha affermato.
Naturalmente queste dichiarazioni hanno suscitato l'ira e le polemiche dei famigliari delle vittime, in particolare l'Associazione dei familiari della strage di via dei Georgofili ha dichiarato ''La prossima volta che rilascia una intervista del genere penseremo seriamente a cercare la possibilità di querelarla per lesa memoria dei nostri morti''.
Il fratello di Lucia, Giuseppe Salvatore Riina invece, dopo otto anni di carcerazione e anche lui orgoglioso di essere il figlio del "capo dei capi", attualmente vive e lavora a Padova in regime di sorveglianza speciale.
Per comodità di discussione, ho scritto di questi due ragazzi vissuti in questo preciso contesto, tenendo ben presente che la maggior parte dei boss hanno figli, magari meno attenzionati dai media, ma sempre in bilico fra l'amore per i genitori e la repulsione per il loro agire, come la società civile pretende giustamente da loro.
Questi atteggiamenti pongono alle nostre coscienze un quesito: premesso che nessuno sceglie la propria famiglia e l'educazione che i genitori gli impartiscono, qual è la responsabilità di questi figli? Quale dovrebbe essere il loro atteggiamento nei confronti dei genitori? Quale nei confronti di una società che, anche solo per il cognome che portano, non gli è affatto amica?
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