CHIEDI AL CRASFORM - Crasform propone riflessioni, ricerche e una guida ai diritti delle donne.
Castelli Alida Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007
Scenario di partenza:
Nello scorso anno e’ stato approvato il Codice delle pari opportunita’ (11 aprile 2006 n. 189) ai sensi della normativa della legge intitolata Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005. Nel Codice sono state inserite le leggi che dagli anni ’50 in poi, hanno regolato il rapporto donne-lavoro nel nostro Paese. Purtroppo questo testo unico, è stato il risultato di un lavoro fatto alla fine della scorsa legislatura, e a differenza di altri paesi europei , non e’ diventato un’occasione di condivisione, né per le donne, né per le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Sono state “dimenticate” alcune nuove direttive europee che hanno modificato , migliorandole le condizioni di lavoro. Un lavoro quindi da rifare.
Le leggi
Le norme sulle Pari Opportunita’ vigenti nel nostro Paese, rappresentano un buon punto di partenza per la tutela delle lavoratrici contro le discriminazioni che ancora permangono nel mondo del lavoro, per l’attitivazione di appositi strumenti quali le “azioni positive.
Tali norme si possono raggruppare attorno tre focus:
Quelle direttamente riferite alla promozione delle Pari Opportunità nel mondo del lavoro;
Quelle riferite agli organismi di promozione e/o tutela delle norme di Pari Opportunità;
Quelle sui congedi per maternita’ e paternita’ e sui congedi parentali.
Le leggi per la promozione delle pari opportunità, contro le discriminazione e per la realizzazione di azioni positive.
Dalla parita’ alle pari opportunita’ norme contenute nel “Codice” e che fanno riferimento in particolare alle leggi 903/77, 125/91 e d.lgs 196/2000 e alla legge 215/92:
La legge 903/77 “Parita’ di trattamento tra Uomini e Donne in materia di lavoro” è stata promulgata nel 1977:
E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle modalita’di assunzione e qualunque sia il settore o ramo di attivita’ a tutti i livelli della gerarchia
E’ vietata qualsiasi discriminazione anche attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza della lavoratricie.
E’ vietata qualsiasi discriminazione in modo diretto, o indiretto attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso.
Nell’art’ 7 si inserisce per la prima volta la possibilita’ di utilizzare i congedi per maternita’ in alternativa alla madre anche per il padre lavoratore
Principali effetti:
E’ la prima grande legge di tutela delle lavoratrici
Provoca un aumento dell’occupazione femminile in quasi tutti i settori: e’ la stagione del grande accesso delle donne al mercato del lavoro, l’unificazione delle liste di collocamento porta le donne in settori inediti (grandi fabbriche, ferrovie ecc) con modifiche di conseguenza dell’organizzazione del lavoro.
Le azioni positive”
Nel 1991 viene approvata la legge 125/91 che introduce innanzitutto un nuovo strumento: “Le azioni positive”( Adozione e finalità delle azioni positive ex legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)
1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell'ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le azioni positive hanno in particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.
Le azioni positive nel settore pubblico
L’adozione di azioni positive nel pubblico impiego rappresentano fin dall’approvazione della legge 125/91 un obbligo.
Obbligo che pur ribadito soprattutto nella contrattazione collettiva non ha visto un sistema ne’ di controllo ne’ sanzionatorio efficace.
Le modifiche intervenute nel 2000 hanno rafforzato l’obbligo, e hanno esteso anche agli enti pubblici la possibilita’ di accedere ai finanziamenti previsti per le azioni positive. “tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, (.) favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi..” art.48 d.lgs 198/06
Un interessante precisazione
Per favorire il riequilibrio della presenza di donne e uomini si afferma inoltre:
“A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile e' accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione.” d.lgs 196
Le discriminazioni nel lavoro.
Nella legge 125 del ’91 viene introdotto in maniera specifica il concetto di Discriminazione
Infatti:
I concetti di discriminazione diretta ed indiretta vengono sostanziati da piu’ complete opportunita’ per il ricorso in giudizio.
“Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni ai sensi dei commi 1 e 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, puó promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell`articolo 410 del codice di procedura civile anche tramite il consigliere di parità di cui all`articolo 8, comma 2, competente per territorio”.
E’ introdotta l’inversione dell’onere della prova “spetta al convenuto l`onere della prova sulla insussistenza della discriminazione.”
Vengono normate le discriminazioni collettive “qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni”,
Nel Codice vengono riprese ed elencate una serie di nome che definiscono le varie tipologie di discrimazione:
Molestie e molestie sessuali
Discriminazioni nell’accesso al lavoro
Divieti di discriminazione:
contributiva
nella prestazione lavorativa e nella carriera
nell’accesso alle prestazioni previdenziali
nell’accesso agli impieghi pubblici
nell’arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali
Nell’arruolamento nelle forze armate e nella guardia di finanza
Nelle carriere militari
Divieto di licenziamento per causa matrimonio
Le istituzioni per promuovere le pari opportunità
Nella 125/91 e ancora meglio nelle sue modifiche del 2000, vengono istituiti importanti organismi per la promozione delle pari opportunita’
Il Comitato Nazionale Pari Opportunita’ ed il Collegio istruttorio
Elabora proposte sulle questioni generali relative all pari opportunita’ e sullo sviluppo e perfezionamento della legge vigente
Sensibilizza sulla necessita’ di promuovere le pari opportunita’ per donne nella formazione e nella vita lavorativa
Formula il programma obiettivo per le tipologie di progetti di azioni positive
Esprime il parere sui finiziamenti delle azioni positive
Elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parita’ e ad inviduare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
Verfica lo stato di applicazione delle leggi in materia di parita’
Propone soluzioni alle controversie collettive anche adottando azioni positive. Su proposta del collegio istruttorio puo’ determinarne il cofinanaziamento.
Promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale.
Le Consigliere di Parita’ a livello nazionale regionale e provinciale.
Le consigliere e i consiglieri di parità devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonche' di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione.
Le consigliere ed i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parità sono pubblici ufficiali ed hanno l'obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.
Queste figure promuovono iniziative per il rispetto del principio di non discriminazione e la promozione delle pari opportunita per lavoratori e lavoratrici
Operano per la promozione del tentativo obbligatorio di conciliazione tra lavoratrici e datori di lavoro, si costituiscono in giudizio per conto delle lavoratrici
La consigliera nazionale e le consigliere regionali attuano le procedure d’urgenza per discriminazioni collettive.
Il comitato per l’imprenditoria femminile.
Opera presso il Ministero delle Attivita’ Produttive
Ha funzioni di promozione per la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile, dall’accesso al credito alla formazione
Interviene nei confronti dell’assegnazione delle risorse destinate ad azioni positive nel campo dell’imprenditoria sia quelli riferiti allo sviluppo d ei sistemi produttivi che quelli piu’ riferibili all’organizzazione aziendale
Il lavoro delle donne tra mercato e lavoro di cura
Il cammino percorso dalle donne verso il riconoscimento di una pari dignità rispetto all'uomo, con particolare riguardo alla sfera del lavoro ha come punto di partenza la disciplina a tutela delle lavoratrici madri approvata con la legge 30 dicembre 1971, n. 1204 che sostanzialmente sostituì, perfezionandola, la precedente legge del 1950. La legge del 1971 ha dettato una delle normative più forti di tutela delle maternità delle lavoratrici all'interno dell'intero panorama normativo dei paesi europei. Le regole che fissa sono semplici e chiare: pressoché assoluto divieto di licenziamento della lavoratrice dall'inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino; astensione obbligatoria dal lavoro (con diritto ad un'indennità pari all'80% della retribuzione) nei due mesi precedenti e nei tre successivi al parto; astensione facoltativa dal lavoro (con diritto ad un'indennità pari al 30% della retribuzione) per un periodo di sei mesi entro il primo anno di vita del bambino; i cosiddetti riposi per allattamento (in sostanza il diritto a un orario ridotto) sempre nello stesso primo anno; diritto ad assenze non retribuite nel caso di malattia del bambino di età inferiore ai tre anni.
Questo sistema di garanzie era ed è talmente ampio che quando è stata approvata la direttiva comunitaria 92/85 del 1992 - ben più «leggera» quanto ai diritti delle lavoratrici madri - nel nostro paese si temette che essa potesse giustificare un intervento legislativo di riduzione delle tutele. Eppure, benché sia evidente come la tutela della maternità voglia dire anche consentire alle donne di non dover scegliere tra lavoro e maternità, la legge del 1971 non rappresentava esclusivamente una conquista delle donne, in quanto nel nostro paese la tutela delle lavoratrici madri ha sempre rappresentato piuttosto un'espressione della cultura cattolica che vede nella maternità il principale ruolo femminile. E del resto, la penetrante tutela che la legge offre ha avuto la naturale conseguenza di disincentivare le assunzioni femminili ed ancor di più di segregare le donne nelle posizioni lavorative di minore responsabilità.
La legge n. 53, approvata significativamente l’8 marzo 2003, è una legge che in modo esplicito vuole promuovere un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione. Si tratta di una legge «femminile» perché affronta i temi della maternità e della paternità e quelli più generali dei tempi di vita e di lavoro applicando una cultura tradizionalmente femminile molto attenta agli aspetti generali della qualità della vita.
Di primario interesse è la promozione di un reale riequilibrio dei ruoli dei genitori nel compito di cura dei figli. Di fatto si consente a madri e a padri di poter trascorrere più tempo con i propri figli senza che questo diritto/ bisogno crei conflitto con il proprio lavoro, affermando così il diritto alla cura ed alla formazione, promuovendo l’uso del tempo per la solidarietà sociale e rilanciando le politiche dei tempi delle città.
I tratti di maggiore novità contenuti nella legge n. 53 sono collegati alla considerazione che essa tende a dettare una disciplina applicabile sia alle madri che ai padri. Ciò emerge con la massima evidenza dall'art. 3, nella parte in cui riscrive la disciplina delle astensioni facoltative dal lavoro regolate dall'art. 7 della legge n. 1204 del 1971. Infatti, la nuova norma non si limita ad ampliare l'ambito temporale della cosiddetta aspettativa e dei permessi in occasione di malattie del bambino, consentendo di usufruire del relativo diritto durante i primi otto anni di vita del bambino e non più, come accadeva prima, nel suo primo anno di vita per l'aspettativa e nei primi tre per le malattie; soprattutto, essa attribuisce tale diritto direttamente ad entrambi i genitori. Nella disciplina precedente il padre poteva utilizzare il periodo di aspettativa solo «in alternativa alla madre lavoratrice», cioè quando e nella misura in cui lei rinunciasse in tutto o in parte a queste astensioni dal lavoro.
In sostanza, secondo questa previsione la cura del figlio era faccenda che riguardava la lavoratrice e che spettava al padre solo in via subordinata; tanto è vero che, per l'appunto, al padre non era riconosciuto alcun diritto se la madre non fosse stata lavoratrice subordinata e per ciò diretta titolare dei diritti in questione. Ora è tutelato l'interesse di entrambi i genitori a prendersi cura del bambino: il padre ha un suo autonomo diritto al periodo di aspettativa, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre e dalla circostanza che essa goda del diritto. In verità, nel caso in cui entrambi i genitori facciano ricorso all'aspettativa il periodo complessivo si riduce: ogni genitore ha diritto a sei mesi di assenza, ma il periodo complessivo non può superare i dieci mesi. La legge disciplina in modo uguale anche le ipotesi dei lavoratori e delle lavoratrici che abbiano bisogno di astenersi dal lavoro per problemi di cura diversi da quelli relativi alla nascita di un figlio. Entrambi, infatti, possono chiedere tre giorni l’anno di permesso retribuito nel caso di morte o di grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado e lo stesso diritto spetta anche per una grave infermità del convivente. Quest'ultima appare una previsione importante, considerato che si tratta di una delle poche norme che danno rilievo giuridico alla famiglia di fatto.
La legge in esame introduce ancora altre novità, come la previsione dei «congedi per la formazione», comunemente noti come periodi sabbatici. A tal proposito si ricorda come si debba riconoscere alle donne il merito di aver introdotto il dibattito su una diversa gestione dei tempi di lavoro e di vita ed aver stimolato una riflessione sui tempi della città: infatti, una nuova organizzazione complessiva dei tempi di vita è stata considerata un elemento fondamentale per una politica che renda davvero più facilmente conciliabile, per le donne ma in fondo anche per gli uomini, l'attività lavorativa e le altre attività collegate al compito di cura familiare. Di questo dibattito e delle esperienze concrete che sono state avviate fa tesoro la legge n. 53 laddove introduce norme dirette ad una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro e, ancora di più, disposizioni che tendono ad una nuova organizzazione dei tempi delle città.
Rispetto al primo punto, l'art. 9 della legge destina una parte dal Fondo per l'occupazione a forme di promozione dell'attività lavorativa dirette a conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. In particolare è previsto il finanziamento di specifici progetti di azioni positive che consentano a lavoratrici e lavoratori - e soprattutto a quelli che abbiano figli fino ad otto anni di età (dodici in caso di adozione o affidamento) - forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro. La norma fa esplicito riferimento al part time reversibile, al telelavoro ed al lavoro a domicilio, all'orario flessibile in entrata e in uscita, alla banca delle ore, alla flessibilità sui turni e all'orario concentrato. Peraltro la norma dispone la partecipazione a questa forma di finanziamento anche per i programmi di formazione di lavoratori e lavoratrici al rientro dal periodo di congedo, ed in questo modo estende alcune delle esperienze più diffuse di azioni positive in virtù delle quali si istituiva una particolare attività di formazione per le lavoratrici che ritornassero al lavoro al termine dei periodi di assenza dal lavoro per maternità.
Inoltre, con lo stesso fondo si finanziano i progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo che benefici dell'astensione obbligatoria o dei congedi parentali con altro imprenditore o lavoratore autonomo. Quest'ultima previsione è interessante in quanto per la prima volta tenta di offrire una risposta ad un problema delicato: si sa che soprattutto per le lavoratrici autonome e per le piccole imprenditrici diventa difficile la conciliazione della maternità con il lavoro, perché l'assenza dal lavoro comporta non soltanto una pesante riduzione e talvolta un abbattimento totale del reddito, ma in alcuni casi anche un allontanamento dagli affari che diventa recuperabile con molta difficoltà nel momento del ritorno alla normale attività.
Inoltre con la legge 53 cambiano i tempi della città ovvero si tenta di generalizzare le esperienze di riorganizzazione degli orari già avviate in taluni comuni, con la previsione dell'obbligatorietà di piani territoriali degli orari. A questo proposito si articolano una serie di adempimenti diversi soprattutto in capo a regioni e comuni. Alle regioni spetta il compito di fissare, con apposite leggi e con possibilità di incentivi finanziari, norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche nonché per la promozione dell'uso del tempo a fini di solidarietà sociale. Con queste leggi (che tutte le regioni avrebbero dovuto approvare entro sei mesi dall'entrata in vigore dalla legge n. 53) sono definiti i criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari dei diversi servizi destinati al pubblico (servizi pubblici e privati, uffici pubblici, esercizi commerciali e turistici, attività culturali e dello spettacolo e trasporti), nonché quelli per l'adozione dei piani territoriali degli orari.
E' compito invece dei comuni l'elaborazione e l'adozione del piano territoriale degli orari. A questo proposito la legge attribuisce direttamente al sindaco la competenza per l'elaborazione del piano secondo modalità che prevedano forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche e con le parti sociali. Una volta elaborato, il piano è approvato dal consiglio comunale su proposta dello stesso sindaco, il quale poi provvede ad attuarlo mediante proprie ordinanze. E’ pur vero che un adeguato piano territoriale degli orari può comportare mutamenti in abitudini ben consolidate. Sia sufficiente pensare alla previsione di anticipare gli orari di funzionamento degli asili e delle scuole materne ed elementari e/o di prolungare o rimodulare (ad esempio con la previsione dell'orarlo continuato) quello dei piccoli esercizi commerciali.
Nel primo caso è prevedibile che l'innovazione si scontri con le resistenze del personale degli istituti e quindi dei relativi sindacati; nella seconda ipotesi gli stessi commercianti potrebbero essere contrari alla nuova organizzazione degli orari.
Nel caso dei tempi della città, tra l'altro, il problema è complicato dalla considerazione che c'è una logica sia pure parziale coincidenza tra i soggetti nel cui interesse è adottato il piano e quelli che dallo stesso possono essere in qualche modo svantaggiati: si pensi che i dipendenti e le dipendenti di asili e scuole nonché i commercianti e le commercianti sono anche cittadini ! Rispetto al tema degli orari e dei tempi resta infine da segnalare che la legge n. 53 riconosce il valore positivo delle esperienze collegate alle banche del tempo che promuovono lo scambio di servizi di vicinato e la solidarietà nelle comunità locali, facilitando l'uso dei servizi della città e i rapporti con le pubbliche amministrazioni. Esse rappresentano anche un sostegno per le iniziative, tanto di singoli che di organizzazioni ed enti, rivolte allo scambio di parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà ed interesse.
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