Le sconcertanti parole del famoso fotografo su Isabelle Caro, sua modella nella campagna pubblicitaria contro l'anoressia, sono ciniche ed esalano un tremendo lezzo di morte
In Italia lo IAP (Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria) ha emanato un provvedimento ingiuntivo con il quale si fa divieto di divulgare il calendario ideato da O. Toscani che, per reclamizzare un consorzio di conciatori di pelle, aveva “illustrato” ogni mese con la fotografia di un pube femminile. Quella parte anatomica senza il corpo ed il volto a cui apparteneva costituiva plasticamente l’emblema di una società dove sempre più le donne si privano della propria identità e soggettività. Quel che, però, il fotografo italiano ha compiuto con il corpo e la mente di Isabelle Caro è stato ancora più devastante e distruttivo. Ha, difatti, convinto una ragazza, fragile e anoressica, a prestare la sua immagine per una campagna pubblicitaria contro tale malattia, caricandola di un ruolo e di un impegno che la stessa Isabelle non è riuscita nel tempo a gestire. La “modella”, così come lui l’aveva fatta sentire, è alla lunga risultata sconfitta da una battaglia a cui non avrebbe, comunque, potuto prestare le sue poche energie fisiche e mentali. Gravata com’era dall’anoressia, Isabelle non è riuscita a guardarsi sui megacartelloni, a leggersi sui reportage giornalistici, ad ascoltarsi nelle interviste rilasciate alle emittenti televisive di mezzo mondo. Ha, finanche, pensato di superare il suo stato raccontandosi in un libro “La ragazza che non voleva crescere”, ma la sovraesposizione mediatica non l’ha salvata dalla malattia e dalla morte. Difatti era arrivata al punto di pentirsi di avere reso pubblico la sua storia, perché aveva sentito troppo forte il peso della responsabilità di guarire, ma soprattutto di essere un esempio che inducesse le sue coetanee a non cadere nell’anoressia. Una modella “forzata”, perché non in grado di uscire indenne dal circo mediatico a cui O. Toscani l’aveva iniziata. Oggi, in occasione della morte della madre, prostrata da profondi sensi di colpa verso la figlia, sentirgli dire che “Isabelle voleva considerarsi una modella, ma tale non era”, mi induce ancora una volta a condannare non solo il fotografo professionista, ma soprattutto l’uomo-Toscani. Non provare rispetto per una donna, che ha utilizzato e che, forse, è morta per le conseguenze di un uso improprio del suo corpo, mi fa inorridire e nel contempo ammutolire. Fino a che si sbattono sulle pagine di un calendario le immagini di pubi femminili si può criticare e condannare il lavoro di O. Toscani, ma, quando si ascoltano le sue impietose parole su Isabelle, verrebbe da urlare: “Fermatelo”. Ma, si sa, questo è il caro prezzo da pagare ad una società che svuota i corpi delle donne per svuotare le donne del rispetto per sé stesse. Isabelle non ce l’ha fatta a resistere a questo vile oltraggio e, complice la sua malattia, è morta a novembre. Il suo ricordo non merita l’ulteriore vilipendio delle parole di un fotografo che, se nel passato si è reso protagonista di campagne pubblicitarie provocatorie su temi di forte impatto sociale e civile, ora non ha più alcun alibi a difesa del suo bieco cinismo, che esala un tremendo lezzo di morte.
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