Welfare e Legacoopsociali - Benessere, integrazione e innovazione sono le basi del Tavolo di confronto nazionale che propone Legacoopsociali per discutere dello stato sociale che serve.
Costanza Fanelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Considerare il welfare non come un semplice settore di intervento ma come un patto e un profilo di cittadinanza fondato su una cultura avanzata di diritti e su chiari sistemi di responsabilità in una visione autenticamente sussidiaria delle istituzioni e dei cittadini. Con questo approccio Legacoopsociali - Associazione Nazionale che organizza e rappresenta le 1600 cooperative sociali aderenti a Legacoop - ha chiamato a confronto i rappresentanti del Governo, del Parlamento e delle organizzazioni chiedendo la costituzione di un Tavolo in cui si discuta non solo di pensioni ma di tutti i capitoli delle politiche sociali. Se l'articolazione del welfare è inadeguata rispetto ai mutamenti demografici, ai nuovi rapporti tra uomini e donne, tra le generazioni, ai mutamenti nel mercato del lavoro occorre elaborare una definizione più ampia di bene pubblico tesa a raggiungere obiettivi di benessere da realizzare in una visione di interesse generale. Su questa base sono state approfondite alcune questioni nodali.
Il rapporto tra welfare e sviluppo
È impossibile oggi ragionare di sviluppo senza parlare anche di welfare: perché non esiste crescita economica slegata dalla soddisfazione di bisogni materiali e sociali delle persone ma anche perché il welfare è già da tempo e può essere ancora di più settore e occasione di sviluppo oltre che essenziale sistema di tutele. Per l’importanza occupazionale che riveste, per l’ampiezza dell’economia collegata, per la dinamica di innovazione che induce, per il concorso che dà alla tutela, crescita e promozione della risorsa più preziosa di una società: le persone.
Per questo è essenziale che si affermi in tutti i soggetti coinvolti un approccio al welfare come investimento e non come costo che la comunità è chiamata a sostenere.
Ma il nesso tra welfare e sviluppo può crescere e rafforzarsi se ci si impegna in tanti nei territori per un welfare del benessere e della integrazione sociale sul territorio attorno a progetti integrati e innovativi.
Per un riequilibrio dei settori del welfare
Da tempo il welfare italiano soffre dei limiti e dei problemi di una struttura consolidata ma squilibrata, basata su due pilastri forti identificati dai cittadini come i riferimenti più certi rispetto ai bisogni di salute e sicurezza e su una gamba, quella delle politiche socio assistenziali, ancora fragile e soprattutto diseguale a seconda dei territori. Se certamente non si può sottovalutare il positivo lavoro prodotto in molte regioni italiane per dare attuazione a quel principio programmatorio territoriale (PDZ) che è uno dei cuori della legge 328, non si può non registrare una crescita, e non una diminuzione, dei divari tra territorio e territorio in materia di interventi sociali. La recente ricerca dello SPI CGIL evidenzia un solco nel Paese, se al Sud la spesa sociale pro-capite è pari al 56% rispetto a quella dei comuni del Nord. Questo ripropone tutta l’urgenza della definizione di Livelli Essenziali e di conseguenti linee di indirizzo utili per una distribuzione equa delle risorse in relazione ai bisogni.
Ancora più carente, e proprio per questo oggetto di attenzione per una riforma, il sistema di ammortizzatori sociali che ancora vive in una funzione simbiotica -se non subalterna- con problemi ed esigenze indotte da alcuni ambiti del sistema produttivo e non si pone come elemento di una rete di tutele sociali in funzione di bisogni legati a varie condizioni ed evenienze dei cittadini e lavoratori.
L’esiguità delle forme di ammortizzatori sociali si affiancano al perdurare di un ruolo quasi esclusivo assegnato alle famiglie e alle reti parentali rispetto alla funzione di sostegno per giovani, donne, persone con disagio e disabilità in relazione al diritto di intraprendere percorsi autonomi di vita e di lavoro. Sostegni che invece potrebbero venire dati ai singoli in termini di facilitazione all’accesso a beni, servizi, di agevolazioni fiscali e sul piano del credito, di nuove forme di ammortizzatori sociali in relazioni a fasi della vita delle persone che aiuterebbero anche a promuovere un orientamento e una cultura più aperti al cambiamento e alla mobilità sociale.
Per questo uno dei principi ispiratori di una riorganizzazione del sistema del welfare deve essere quello di ridisegnare il rapporto tra sistema di tutele e di responsabilità tra le generazioni, tra donne e uomini. Realizzando a tutti i livelli politiche di pari opportunità, ridando un’attenzione vera ai bisogni di bambini, adolescenti, creando per i giovani cornici valoriali e strumenti efficaci di promozione per sentirsi maggiormente responsabili e protagonisti, articolando e innovando il concetto di tutela sociale per le generazioni più anziane sulla base dei bisogni e delle situazioni reali, allargando la possibilità di continuare a svolgere un ruolo attivo nella società.
Ci sono alcuni segnali in questa direzione come la ripresa di investimenti per lo sviluppo di servizi alla prima infanzia e una nuova attenzione espressa ad aprire alle fasce giovani strade di accesso a opportunità ed esperienze che ne favoriscano un inserimento giusto nella vita adulta e attiva.
Così come è importante che la Finanziaria da poco approvata abbia previsto una prima sia pure limitata leva economica per avviare nel nostro Paese una politica per la non autosufficienza.
Nuove politiche contro la esclusione sociale
A partire dalla stessa esperienza della cooperazione sociale, che ha saputo praticare modalità di intervento di inclusione sociale di fasce deboli attraverso una via originale di integrazione lavorativa, nell’Assemblea si è ribadita la necessità che si riavvii un percorso a livello di Governo e di Parlamento che collochi in modo forte il ruolo delle politiche di inserimento o reinserimento lavorativo quale leva essenziale per affrontare le tante aree di esclusione sociale. Accanto agli ancora non soddisfacenti risultati prodotti dalla legge 68 per concretizzare il diritto delle persone disabili si registra infatti un restringimento delle possibilità di costruire percorsi di inserimento nel mercato del lavoro di persone che sono affette da forme di disagio fisico e mentale, o che escono da situazioni di dipendenza e droghe, di giovani e donne che dovrebbero essere aiutati in tutti i modi ad uscire da situazione di schiavitù e di sfruttamento di diverso tipo, da condizioni carcerarie, o da processi irreversibili di emarginazione. Un campo questo che deve uscire dal terreno del possibile per divenire spazio certo di riconquista di diritti di cittadinanza.
(15 marzo 2007)
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