Ortensi Paola Venerdi, 30/01/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
Febbraio in Italia, per chi sia capace di guardare con attenzione uscendo dall’asfalto della città e dalla corsa quotidiana, è un mese in cui è possibile osservare i colori della terra. Ciò che è seminato ancora deve rompere le zolle, come i cereali, e altri semi sono sul punto di essere regalati alla terra. Piante caduche, come viti o alberi spogli, lasciano in primo piano il terreno. E lei, la terra, si presenta con le sue infinite sfumature dovute a diversa presenza di minerali, di residui organici. Marrone quasi nero, un po’ più chiaro, oppure con sfumature completamente diverse: ruggine, marrone caffellatte, rosato, color sabbia, fra il giallo e bianco e poi ancora creta (da cui le famose crete di Siena). Colori che possono essere considerati anche simbolici dei mille volti dell’umanità, che comunemente chiamiamo razze, ma che in realtà sono ricchezza che ci si offre se solo tutti riuscissimo a considerarla una risorsa. La terra poi, non contenta, mostra la sua consistenza: granulosa, calcarea in zolle, friabile, argillosa, dura, morbida. Per l’importanza che assume nella nostra vita, inoltre, l’abbiamo vestita di aggettivi o sostantivi ognuno dei quali evoca storie, ragionamenti, valori complessi. Il caleidoscopio è multiforme: terra madre, amara, viva, ferma, buona, vera, futura, straniera, selvaggia, bruciata, nostra, mia. E che senso di benessere proviamo nel mettere le mani nella terra, vederla scorrere fra le dita o testardamente rimanere compatta, o frantumarsi in piccole zolle irregolari; terra come corpo vivo che cela esseri che dentro vi si muovono, mimetizzati nel colore o evidenti. L’esperienza che ogni bambino nato in città, o chiunque in città sia cresciuto, dovrebbe poter fare è toccare la terra senza timore di sporcarsi: giocarci, imparare a conoscerla, amarla e rispettarla. Così solo potrà comprendere quella frase, piccola ma immensa, nel suo significato: madre terra … o forse con un suono ancor più forte terra madre, nell’ambiguità fra il riferimento all’intero pianeta e quella che calpestiamo e riconosciamo di volta in volta come nostra.
Tornando a febbraio, al periodo in cui è più facile vederla, come dice un antico proverbio ”in febbraio la terra è in calore”. Aspetta la semina, si offre all’agricoltore per ricoprire i semi che ci regaleranno i frutti della primavera e anche questo fermento varia i colori lì dove piccole punti verdi si affacciano iniziando il cammino verso l’alto, preparandosi all’impollinazione e alla maturazione del frutto. Colori, nuovi disegni da seguire e copiare, in continua evoluzione e pullulanti di vita. Ma per ciò che vediamo vi è un mondo, parlando di agricoltura, che cresce sotto e che diverrà a tempo debito liberato dalla terra, ricchezza delle nostre dispense: patate, carote, rape o ravanelli, agli e cipolle che sulle tavole porteranno un po’ della magia di chi sotto la terra è cresciuto.
RICETTE
Frittelle di patate della zia Nerina. Pastella di acqua, farina, un cucchiaino d’olio e uno d’aceto, sale. Amalgamare con cura ottenendo una buona densità non troppo liquida e poi mettervi le patate crude di forma tonda e non troppo sottili. Friggere con abbondante olio (la zia Nerina usava quello d’oliva) ma ognuno può seguire le proprie abitudini.
Cipolle al forno di Maria. Tagliate a metà, crude, lavate, infarinate bagnate, al forno solo con sale e olio d’oliva. Il successo di entrambi i piatti è legato a prodotti crudi e pazienza nel tempo di cottura.
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