Violenza / Summit mondiale - Dall’8 all’11 settembre in Canada si è tenuto il primo Summit mondiale dei Centri antiviolenza. Un’esperienza importante per l’Italia, rappresentata da Anna Pramstrahler, della Casa delle donne per non subire violenza
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008
Per l’Italia era presente Anna Pramstrahler, della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, che insieme alle circa 800 operatrici provenienti da 51 Paesi ha partecipato dall’8 all’11 settembre al Summit mondiale dei Centri Antiviolenza (Alberta, Canada) per “reclamare con un’unica voce, forte e chiara, una dura azione di contrasto che metta fine alla violenza domestica e all’abuso nella vita delle donne”. Davvero un evento, visto che per la prima volta nella storia questa “epidemia globale” è occasione di una così vasta organizzazione che intende “chiedere giustizia per tutte le donne violate ed essere al loro fianco”. Abbiamo raccolto le riflessioni di Anna, appena tornata dal Canada. Essere stata inviata come portavoce della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, ma anche essere in Canada a portare l'esperienza italiana dei Centri antiviolenza deve essere stata una grande responsabilità. Quali le tue impressioni 'a caldo'?
Un bellissimo convegno. Tante donne e tante esperienze provenienti da tutto il mondo: dai paesi ricchi, con oltre 30 anni di esperienza, e donne arrivate dai cosiddetti ‘paesi in via di sviluppo’. Le delegate presenti erano tutte responsabili di Centri antiviolenza, non tanto teoriche, ricercatrici o politiche, ma donne che hanno fondato e che lavorano nei Centri, quindi molto vicine alla vita quotidiana delle donne che subiscono violenza. Anche se eravamo molto diverse, dalle pakistane, alle sudafricane, dalle donne del Burundi, a quelle dell’Honduras, alle palestinesi e le israeliane, ci sentivamo unite in questa grande esperienza vissuta insieme: aver costruito progetti concreti per le donne e aver salvato tante tante vite. Guai a chi, dopo un’esperienza come quella che ho vissuto in Canada, dice che la violenza non è un problema globale, simile in tutti i paesi del mondo: ricchi e poveri, sviluppati, non sviluppati, cattolici, musulmani, laici, hindu etc. Purtroppo è la legge del potere maschile che domina ovunque.
Queste donne del Canada come hanno avuto l’idea? A cosa si sono ispirate per organizzare questo grande convegno?
Tutto è nato due anni fa in Messico: il coordinamento nazionale dei Centri antiviolenza del Messico, organismo autonomo, femminista, ha organizzato un grande convegno invitando i Centri di tutti i paesi del Sudamerica e Centro America. Un convegno enorme e un’esperienza importantissima per tutti paesi latini. Le canadesi, invitate come ospiti, con forza e determinazione hanno deciso che il prossimo convegno doveva essere globale. Come ci ha raccontata Jan Reimer, che insieme ad altre 8-9 donne del Coordinamento delle Case delle donne dell’Alberta, ha lavorato al progetto per 2 anni. Tutto volontariato, ma ce l’hanno fatta! Questo convegno è costato oltre 700.000 euro: una cifra enorme racimolata con una raccolta fondi che ha permesso di invitare le donne da nazioni che non avrebbero avuto la possibilità economica di arrivare in Canada.
Gli obiettivi che l'iniziativa (ricordiamolo, la prima della storia) erano tanti: lo scambio delle esperienze e delle buone pratiche, la creazione e alleanze internazionali. Quali risultati concreti sono da rilevare?
Il risultato più evidente è che un’esperienza nata nel 1970-1972, in singole città da singole donne, si è espansa in tutto il mondo, condividendo approcci, metodologie e analisi molto simili. Un movimento che è cresciuto enormemente, nei Paesi del primo, secondo e terzo mondo. Questo movimento, dopo 30 anni, ha avuto bisogno di un confronto e vuole costruire alleanze per costruire una politica globale. Migliaia di donne sono impegnate e vogliono far sentire la propria voce contro la violenza alle donne. Proprio per questa forte motivazione politica, la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le varie rappresentanti si sono incontrate proprio per discutere come costruire questo movimento internazionale di cui tutte sentiamo il bisogno. Volevamo cogliere quest’occasione unica per tornare ciascuna nella propria realtà e collegare quest’esperienza alle varie reti nazionali.
Il Summit ha avuto un'attenzione alla dimensione globale del fenomeno della violenza: la tratta, il traffico internazionale e la realtà delle donne indigene. Anche su quel piano quali sono gli elementi conoscitivi che hai riportato? Di quale utilità per le attività dei Centri in Italia?
Ho seguito tanti seminari fatti dalle donne indigene americane, uno delle donne Maori, le native dei paesi sud-americane. Il problema della violenza domestica è uguale in tutto il mondo. Ma si parlava molto del rispetto delle diversità culturali e delle tradizioni, che non sono tutte contro le donne ma recuperano forza e vitalità da culture ormai sopraffatte da modelli predominanti.
Un focus interessante era quello dedicato agli uomini impegnati contro la violenza. Ci sono iniziative in vista?
La prima giornata era dedicata agli uomini impegnati nella violenza, “uomini alleati”. Sono ricercatori, operatori che fanno “educazione”, fanno terapia ai maltrattatori e agli stupratori, politici sensibili, insegnanti e quelli impegnati nella campagna del Fiocco Bianco. Interessantissima la relazione di Jackson Katz, educatore sopratutto nell’ambiente sportivo e militare, un militante che combatte anche a livello teorico la cultura del “macho” negli Stati Uniti.
Quali le differenze tra l’Italia rispetto agli altri paesi?
Nella mia relazione ho sottolineato il forte legame tra Centri antiviolenza e femminismo che in Italia esiste ancora. Non è così ovunque. Molti paesi esteri finanziano le Case rifugio ma la gestione è variegata: fatta donne di varie provenienza, da religiose o da enti caritatevoli.
Possiamo essere orgogliose del fatto che il nostro movimento ha 20 anni e che abbiamo 100 Centri antiviolenza, ma siamo indietro: non possiamo pronunciare la parola ‘risorse pubbliche’, non possiamo parlare di politiche di prevenzione, non possiamo parlare di leggi che sostengono i Centri antiviolenza (anche se ho citato alcune leggi regionali che garantiscono la loro sopravivenza), non possiamo parlare di interventi efficaci delle forze dell’ordine, dell’approccio integrato in caso di violenza domestica, delle reti locali contro la violenza. L’Italia in tutto ciò è molto, molto indietro. Alcuni Paesi in via di sviluppo hanno progetti, iniziative e Centri che fanno invidia. Mi sono sentita vicina al Portogallo, alla Grecia o a certi paesi dell’Est. Mi riconoscevo più in alcune relazioni fatte dalle donne del medio oriente anche per quanto riportavano della mentalità dei politici, preoccupati della loro visibilità e in realtà impegnati nell’obiettivo di rafforzare la famiglia e le politiche famigliari e non i Centri antiviolenza.
In conclusione, quali sono le strategie particolari che possono contrastare efficacemente la violenza sulle donne?
Non è possibile fare politiche contro la violenza alle donne senza investir risorse. La buona volontà da sola non basta, come non bastano le leggi penali e civili se non c’è un concreto sostegno delle donne. Se non vengono creati luoghi degni di poter aiutare tutte le donne che hanno bisogno, come facciamo a dire che stiamo facendo politiche efficaci contro la violenza?
In Canada, con soli 30 milioni di abitanti, ha 430 Case rifugio. L’Italia con 60 milioni di abitanti ha 100 Centri antiviolenza e 40 Case rifugio. Non solo mancano risorse economiche per aprire altre strutture, quelle che esistono sono sempre sull’orlo della chiusura per carenza di fondi.
Manca un Piano d’azione contro la violenza (domestica e sessuale), sono pochissimi i Pronto Soccorsi, le forze dell’ordine e i Tribunali non sono preparati adeguatamente e non conoscono la gravità della violenza domestica, non abbiamo programmi specifici nelle scuole, non si fanno campagne nazionali di sensibilizzazione. Potrei continuare… Ma una cosa abbiamo in comune: tante donne uccise a causa della violenza domestica, oltre 100 all’anno, ma non esiste neppure una statistica di genere sul femminicidio in Italia. Il primo provvedimento del nuovo governo per finanziare il taglio dell’ICI ha tagliato 20 milioni di Euro destinati a creare un osservatorio nazionale sulla violenza alle donne e un piano d’azione nazionale. Queste due azioni sarebbero state un buon inizio per creare politiche nazionali sulla violenza in Italia, politiche che finora mancano totalmente.
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