Nella mia vita devo molto a persone credenti e religiose, alcune sconosciute, altre note, e da non credente quale sono e resto ho imparato ad apprezzare il riconoscimento e la reciprocità che donne e uomini con visioni diverse dalle mie hanno dimostrato di saper offrire, pur essendo la fede religiosa un terreno non facile di discussione.
Nella redazione della rivista Marea, che da 20 anni resiste in un panorama italiano ostile quando si pronuncia la parola ‘femminista’, per anni c’è stata una suona comboniana, Daniela Maccari, che ha fondato e diretto uno dei siti più femministi che io conosca, Femmis, opportunamente sospeso, in era ratzingeriana, quando lei decise di tornare in missione in America Latina. Il mio figlio più grande è stato salvato dall’abbandono scolastico, durante gli anni movimentati dell’adolescenza, proprio da una suora, direttrice didattica di liceo, che con competenza, polso fermo e ironia gli ha dimostrato ciò che purtroppo la scuola pubblica avevano fallito a comunicare: che lo studio è sì fatica ma è anche bellezza, soddisfazione, tesoro da investire nel futuro. Devo molto a quella suora.
Penso che chi fa scuola, nel pubblico come nel privato, non possa usare lo stesso metro di valutazione e giudizio che potrebbe, legittimamente, adottare con gli adulti: se si ha a che fare con l’età della crescita, in particolare con l’adolescenza, è necessaria una visione articolata, complessa e divergente tanto quanto lo è quella delicata, pericolosa e incerta epoca della vita umana. Per questo non ci sono giustificazioni alla decisione della preside della scuola privata religiosa parificata pugliese che ha espulso la ragazza ormai nota come ‘quella con i capelli blu’.
La preside religiosa ha motivato il divieto di frequenza delle lezioni, (che la ragazza, all’ultimo anno del liceo, sta svolgendo a casa, seguita dalla famiglia che è alle prese con una causa legale, non un ottimo clima per chi deve affrontare la maturità) con l’esistenza di un regolamento dove si stabilisce un ‘decoro’ da seguire.
“Questa è una scuola cattolica, ci sono delle regole e chi si iscrive a questa scuola le conosce, lo sa. Se lasciassimo fare a ciascuno quel che vuole, qui dentro diventerebbe un arcobaleno” è una delle dichiarazioni rilasciate alla stampa. Ma davvero una tinta inusuale dei capelli può essere la causa dell’impedimento del diritto allo studio? Come è possibile che chi lavora nella scuola sia incapace di capire i segnali di provocazione, di desiderio di distinzione, di ricerca di identità tipici dell’adolescenza, non tutti negoziabili e accettabili in un contesto educativo, ma in questo caso decisamente inoffensivi?
Gli Stati Generali delle Donne del Sud stanno promuovendo una campagna social a difesa della ragazza con l’hashtag #ancheiohoicapelliblu. Sarebbe importante che, con la creatività e l’inventiva della quale sono capaci, quando vogliono, le giovani generazioni, in tante le ragazze e i ragazzi delle scuole della Puglia, (ma non solo), facessero sentire appoggio e sostegno alla giovane ‘fata turchina’ e alla sua famiglia. I capelli si tagliano, ricrescono, si tingono e stingono: gli anni della scuola non sono come i capelli: possono essere formidabili trampolini per la vita così come un incubo che frena le aspirazioni e genera malessere con conseguenze nefaste sull’esistenza.
Se una scuola, laica o religiosa, non lo capisce non è all’altezza del suo compito educativo, e quindi è la scuola che sta sbagliando, non una ragazza che, oggi, si vede bella solo in blu, e deve poter studiare, come chiunque, nella scuola che ha scelto.
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